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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Cuba senza (sin) salsa. La Habana

Da settembre, in Colombia, si sente che viene dicembre, ovvero, Natale, succede anche in tutto il resto del mondo. Il clima muta, le foglie cadono, a scuola si fanno i lavoretti di autunno, si spolverano i cappotti, si portano a lavare i piumoni, si controllano i termosifoni e le caldaie, insomma si iniziano a preparare le menti e le case così come le cose per l’arrivo dell’autunno e successivamente dell’inverno ne soprattutto il Natale. Qui in Colombia però, in Antiochia, ne La Ceja, il clima è costante, è sempre primavera, le temperature sono stabili, la pioggia scende per conservare il verde meraviglioso ed i pascoli ben curati ma, in radio inizia a spopolare la classica musica che preannuncia il grande arrivo delle festività, in testa il Natale, inizia a suonare il “Vallenato”, non puoi scappare, è il suono della tromba che annuncia che Natale è alle porte, ed ora era finalmente arrivato o quasi. Era principio di dicembre, c’era un grande ponte di giorni festivi cosicché, apriamo Skyscanner.com e ricerchiamo la destinazione più economica dove passare il ponte dell’Immacolata e, l’opzione migliore ricade su Cuba, La Habana. Non ci pensiamo molto, compriamo due biglietti andata e ritorno, quattro notti e cinque giorni e via ad organizzare gli zaini.

Il giorno arriva rapido, previamente avevamo già raccolto informazioni sul tema di Visti e pratiche varie per poter entrare in territorio cubano. Bisogna comprare, e si può fare direttamente in aeroporto, allo sportello della compagnia aerea che ti porterà lì, un Visto che ha una durata di massimo tre mesi, da compilare e poi mostrare alle autorità competenti. Effettuiamo le pratiche di imbarco, compiliamo il Visto e via verso La Habana. Le quasi tre ore di volo passano velocemente e mi sento molto emozionato, un nuovo paese da conoscere, una cultura esportata in tutto in mondo ma, così poco conosciuta realmente. C’è sempre un velo di mito e leggende su questa nazione, storie che si susseguono e si alternano tra le opinioni della gente. Come sempre, le vicende, i racconti così come la Storia, dipende dal narratore di esse, non esisterà mai un’unica versione dei fatti, per fortuna o purtroppo aggiungerei io. Come scriveva il grande Pirandello ne “Così è se vi pare” che la verità è “colei che la si crede”. Realmente, infatti, la o le verità, la realtà, un racconto dipendono dalla bocca e le parole di chi ce la narra. Cuba libera? Cuba occupata? Se formi parte della Elite che ha il potere, o di qualche famiglia ricca vicina al “governo” beh, sicuramente Cuba è libera. Libera dal capitalismo nordamericano. Al contrario, se sei cresciuto nella fame, nella assoluta mancanza di opportunità, con una sanità precaria, dentro una vita precaria e irrisolta e senza, soprattutto, nessuno sbocco futuro o di un margine, perlomeno, di poter cambiare la tua miserabile, sfortunatamente, situazione triste, in quel caso Cuba è occupata da un regime assolutamente fascista, despota e dittatoriale perciò, racconterò la mia storia, il mio racconto dei fatti di Cuba e, specificamente, di La Habana e Guanabo, che ho conosciuto personalmente. È la mia versione, quella che ho visto e percepito in cinque giorni. Nulla di più, è solamente un trancio di vita.

Scendiamo dall’aereo, l’aeroporto è semplice ed accogliente. Effettuiamo migrazione abbastanza velocemente, è mattina, sono le nove e trenta ed abbiamo una grandissima voglia di uscire ad esplorare tutto. Ci rendiamo conto che, trovare informazioni o cercare di raggiungere il centro di La Habana con mezzi pubblici è, praticante impossibile così, accordiamo il prezzo di trenta dollari con un taxi ufficiale che ci porta direttamente nel cuore della città. Suonano canzoni degli anni Novanta, inizio duemila alla radio, mi piace moltissimo mentre fuori scorre la vita di capitale, motorini, macchine colorate, vetrine dallo stile anni Cinquanta, così come tutto il resto. Paghiamo, in contanti, prendiamo le nostre partenenze e, sono a Cuba, che emozione. Fa piacevolmente caldo, un grande edificio bianco ci dà il benvenuto, è il Capitolio, la sede dell’assemblea nazionale, una sorta di parlamento. Iniziamo a passeggiare, davanti a noi ci sono tantissime macchine di tantissimi colori differenti e ben curate, blu, giallo, rosa, verde mela, rosso, tutti super scintillanti e lucenti. Dopo qualche minuto, decidiamo di smettere di seguire una sorta di “percorso turistico” e ci immettiamo in alcune viuzze limitrofi alla ricerca de La Bodeguita, un antico bar dove fanno il famoso Mojito. Tutto cambia, lo scenario si fa reale, affascinate ma, totalmente differente. Cerchiamo qualcosa da mangiare e ci rendiamo o conto che l’impresa è davvero difficile. Non ci sono supermercati o, meglio, ci sono solamente alcuni negozietti che vendono solamente cibo in scatola di marche spagnole, del prosciutto confezionato dall’aspetto poco invitante e, in alcuni non possiamo nemmeno entrare e, ovviamente ci rifiutiamo di sederci in ristoranti fatti appositamente per turisti inglesi! Continuiamo a camminare e incontriamo un piccolo chiosco che vende delle specie di crocchette di mais avvolte in una foglia di platano, ne compriamo due, sono buonissime e croccanti e le mangiamo seguendo a camminare. Sembra che il tempo si sia fermato. Le persone stanno sedute sul primo gradino delle loro case, hanno negli occhi una strana malinconia, un velo di rassegnazione che mi stringe il cuore e tutt’ora mi salgono le lacrime agli occhi. Nessun essere umano dovrebbe vedersi togliere la speranza perlomeno, la vaga o remota possibilità di poter si, cambiare il proprio destino, il vento della propria esistenza, lo trovo orribile e profondamente triste. Entriamo in una panetteria, ci sono dei pannelli che mostrano differenti tipo di pana ma, davanti a noi il banco è vuoto. Chiediamo. E ci dicono che solamente hanno il pane “classico” un panino al latte, ne compriamo due mentre facciamo due chiacchere con il ragazzo che ci serve, è simpatico ed ha timore a raccontare troppo così, lo salutiamo e continuiamo il nostro percorso. Raggiungiamo La Boteguita, fuori ci sono moltissimi turisti e guide autorizzate, dentro suona una leggera musica, tutto è sorridente e, falso, così procediamo. Arriviamo sul lungomare, le onde sbattono contro alcune pietre, vari hotel di lusso si ergono lungo la strada con vista mare, quella non è La Habana, passeggiamo e raggiungiamo il punto in cui sappiamo ci sarà un bus che ci porterà verso la nostra destinazione: Guanabo, un paesino costiero a più o meno un’ora dalla città. Abbiamo prenotato un piccolo appartamento, camera, cucina e bagno, il tutto con un paio di finestre sulla spiaggia, ad una signora che vive nel piano inferiore della stessa struttura, con il figlio e sua madre.

Percorriamo altre stradine del centro storico, molti negozi sono aperti ma completamente vuoti, un paio di bar vendono solamente acqua in bottiglia, ci rimane impossibile comprare altro cibo, ci auguriamo di trovare qualcosa a Guanabo, la cosa non ci preoccupa ma, il pensiero risiede in un angolo della nostra testa. Passiamo davanti ad edifici dalle finestre smontate, vetri rotti, palazzi bellissimi ma totalmente abbandonati, viuzze dove qualche venditore ambulante cerca di vedere della mercanzia. Il conducente del bus ci dice di pagare quello che volgiamo per il tragitto fino a Guanabo, gli diamo dieci dollari, non sappiamo il cambio, a quanto costa qui la vita, quello che però si sappiamo è che la vita pesa da queste parti. Restiamo in piedi, il veicolo è stracolmo di persone, osserviamo fuori, guardiamo il mare dai finestrini. Passano dei benzinai e poi entra nel paesino, scendiamo, la prima impressione è decisamente positiva.

a cura di Michele Terralavoro

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Redazione StreetNews.it
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