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“Per salvare il teatro bisogna distruggere il teatro.”

È ancora plausibile considerare che sia interessante riflettere sul pensiero di alcuni personaggi del passato e/o del presente?

“Per salvare il teatro bisogna distruggere il teatro. Gli attori e le attrici devono morire tutti di peste… Essi rendono l’arte impossibile.” A dirlo è stata un’attrice: Eleonora Duse.

Cosa avrà voluto dire? La comprensione di quel che ha detto è così semplice come sembra?

Veramente voleva che gli attori e le attrici morissero? Dopo questa fantomatica “Morte” auspicava una rinascita che desse vita a nuove forme d’arte?

Distruggere le vecchie visioni e far emergere nuovi metodi creativi?

È chiaro per tutti/e quel che ha detto? E quel che non ha detto? Nascosto nelle particelle di ogni spazio? Mistero!

Orbene, “Esistono quattro problemi basilari per l’attore: non solo come essere un attore efficace, ma anche perché esserlo, dove esserlo e per chi”. Eugenio Barba non ha risparmiato la sua voce per ricordarlo.

Barba inoltre sostiene, ne “L’essenza del teatro”: “Lo spettacolo è la puntura di uno scorpione che fa danzare e la danza non finisce all’uscita del teatro, ma, anzi, il veleno viaggia all’interno, penetra nel metabolismo psichico, mentale, intellettuale e si trasforma in memoria”.

Alcuni attori, e attrici, hanno un cuore che vive tra la vita e la morte, ma no, si scherza: tra la vita e l’arte; come si sa cambiando l’ordine dei fattori il risultato non cambia, sì, ma qui i fattori sono cambiati, perciò è inutile fantasticare con la matematica! Il rischio è di lambiccarsi il cervello e rimanere al buio per svariati minuti.

Gli attori e le attrici esprimono il carattere e i sentimenti di un personaggio, emozionano gli spettatori, riuscendo a coinvolgere chiunque, ma soprattutto non si può fare a meno di credere a ogni singola parola, gesto, espressione, pensiero, che li attraversi. Quelli/e ispirati/e riescono grandemente in questa impresa.

Fanno sembrare tutto facile, come se chiunque potesse fare quello che fanno loro. Sì, beato/a chi ha questa convinzione!

La facilità con cui alcune persone fanno quel che fanno è impressionante. E non solo nel teatro!

Sono artisti/e che hanno lavorato molto per formarsi e non sempre nelle tradizionali accademie; svolgono il loro compito con meticolosità: in teatro, nel cinema e finanche nelle cantine.

A volte qualcuno rimane per strada o meglio non si fa strada, ci siamo capiti!

Alcuni/e sono artisti/e, mi correggo, esseri umani che danno vita, sul palcoscenico, ad altri esseri umani in modo eccellente. 

Se avrete l’occasione di incontrare uno/a solo/a di questi esemplari scoprirete, senz’altro, la loro umiltà come pure la grande sensibilità. Sono sensibili al punto che riescono a trasformare in modo eccezionale l’impossibile in possibile.

La loro empatia è trasbordante, attenzione, sanno indignarsi, scegliere dove stare, ma non si perdono in giudizi o etichette; a volte non sono famosi, altre volte lo sono a livello internazionale.

Spesso, oltre all’arte coltivano la forza, il coraggio e non le mandano a dire su svariati argomenti, e, per rimanere in tema, qualche volta fanno dichiarazioni, apparentemente, scomode sulla loro professione, come ha fatto la Duse insomma. Tanto per sollecitare un pensiero evocativo, direi che è una modalità, quella dusiana, che ha fatto la storia.

A questo punto, potrebbe essere importante il punto di vista di Buber sugli attori!

Sì, suppongo proprio di sì!

Certamente, Buber c’è andato giù pesante.

Parla della grandezza degli attori e scrive: “Ci sono due generi di grandi attori.

Quelli che, per il loro talento assoluto nell’assimilare e riprodurre, fondono nella “figura” i moti espressivi osservati e, dopo l’osservazione, riprodotti.

E quelli che, sulla base della loro capacità di esperire con straordinaria profondità la natura e l’essenza di organismi a sé affini (siano essi reali o fittizi), di entrare per così dire “nella loro pelle,” sanno produrre, a partire soltanto da sé, il moto espressivo che necessariamente pertiene a ognuno di essi. 

Ai secondi appartiene lo spirito che viene acquisito nel corso del tempo, lo spirito le cui ali sono veloci come un istante e il cui nome è “esperienza vissuta” (Erlebnis).” 

Alla fine della narrazione, questo teatro bisogna distruggerlo o no?

E gli attori, le attrici, devono morire di peste, affinché l’arte sia possibile?

È necessario anche oggi come allora? Immagino i sì, i no, i non so!

Meditare sui significati più reconditi di un pensiero, di un’idea, di un punto di vista, può sicuramente essere rivelatorio di nuove scoperte e liberare da schemi preconfezionati che hanno perso la freschezza della natura.

Per concludere, in bellezza, sceglierei ancora le parole di Barba che un pochino di teatro, forse, se ne intende.

È il minimo che io possa fare!

“Cosa resta del teatro se non è religioso, nazionalista, se non crede ai libri, alle teorie e alle ideologie che vogliono spiegare e seminare certezze nel mondo?”

Cosa resta?

A cura di Maria Grazia Grilli

Realizzazione grafica a cura di Emy Gargiulo

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