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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Cartagena de Indias, Caraibi e la sua gioia contagiosa!

Erano previste turbolenze. Aeroporto internazionale di Rionegro, Medellin, il nostro volo sarebbe partito alle 21:00 circa, da La Ceja, in un bus ci avviammo verso l’aeroporto. Quel giorno c’era abbastanza traffico cosicché arrivammo giusto in tempo per passare i controlli di sicurezza e salire sul nostro aereo direzione… Cartagena de Indias, Caraibi. Era la mia prima volta, ero molto emozionato ed affamato, il tragitto in volo sarebbe stato abbastanza rapido, un’oretta e saremmo atterrati in piena estate a Cartagena. Fu un po’ movimentato l’atterraggio ma, eravamo lì. Prendemmo una macchina fino a raggiungere l’hotel dove saremmo rimasti quelle due notti. Il caldo era afoso e stupendo. Dal finestrino del taxi vedevo fuori il mare così vicino, il calore mi spettinava i capelli crespi all’indietro e, mentre avvolgevo la mano di Seba, già potevo ascoltare la musica provenire dal centro storico della città!

Facemmo rapidi il check-in in hotel. Era una bella struttura piccola, storica e ben curata, da fuori era una semplice facciata giallognola, con le finestre grandi dalle assi in legno consumato dal sale e dal tempo. i vetri puliti, su quattro piani. Dentro ci accolse una grande hall ed un receptionist gentile ed attento. ci consegnò le chiavi, la nostra stanza dava direttamente nel patio interno dove c’era una piscina con alle spalle una grande parete di mattoncini color bronzo. La luce azzurra della piscina illuminava, attraverso la enorme porta finestra, tutta la nostra stanza di un blu tenue e gioioso. Che fame! Ci buttammo in strada per cercare qualcosa da mangiare e da bere. Per le vie del centro la vita era la padrona assoluta. Suonava a vita e vivacità la musica dalle casse poste in strada da alcuni vicini. La gente ballava, sudava e ballava, vicina l’una agli altri. Faceva caldo, molto, ma, per fortuna non importava in assoluto, l’importante era mangiare e bere. Ci trascinarono a ballare in un gruppo di amici, ragazzi e ragazze si muovevano felici al suon di musica. Restammo li per qualche minuto o mezz’ora non ricordo bene, il tempo non ci interessava, il tempo non interessava a nessuno. Quel momento era il tempo più importante di tutto, era il tempo che importava davvero.

Giusto davanti a noi vedemmo un piccolo negozio che effettuava vendita di arepas ripiene da una finestra, ne pagammo due, un di pollo con un pochino di piccante per me, e l’altra con carne trita, senza piccante per Seba, ed anche una birra ed un’acqua. Ce le servirono calde, erano deliziose, così ci sedemmo sul bordo del marciapiedi, ridendo tra di noi e guardando le persone ballare e saltare nella musica.

Continuammo a passeggiare per le viette nella città dentro le mura, qui, qualche secolo fa, sbarcarono per la prima volta gli spagnoli e, ovviamente, la prima cosa che fecero fu costruire una muraglia e delle torri. Fortunatamente, adesso, gran parte di essa è caduta e dalle torri ci si possono fare delle belle fotografie con il panorama dietro. C’era molta gente, molto cibo, tutto era basso e a portata di uomo. Le case gialle di un solo piano o massimo tre o quattro, bianche con i mattoni a vista dove appoggiarsi per riposarsi un attimo, i lampioni dalle luci arancioni sopra le strade e, in alcune di esse, i celebri ombrelli di tutti i colori appesi, uniti l’uno all’altro, per ripararsi dal sole costante o dagli improvvisi acquazzoni tropicali. La cittadina antica, storica dove alloggiavamo noi, era rimasta come un tempo, adagiata sul mare, dentro le sue mura ormai valicate, perforate dal danzare del tempo e della vita. Passammo davanti ad alcuni murales, meravigliosi, con volti di donne dagli abiti variopinti, ceste di frutta, denti bianchi e sorrisi perfetti, veri e reali. Altri con delle figure geometriche ed altri ancora con scritte e frasi.

S’erano fatte più dell’una di notte ma, seppur la giornata lunga, non eravamo ancora stanchi. Seguimmo con la nostra passeggiata esploratrice. Grandi piazze, chiese bianche dallo stile coloniale si ergevano senza giudizio sui vicoli e le persone. Comprammo un gelato, uno al cioccolato e l’altro cono vaniglia con crema per me. La notte con la sua luna e le stelle dormicchiava sopra Cartagena mentre, sotto, Cartagena si muoveva allegra e spensierata come solamente una città di mare sa e può permettersi di fare. Qui si vive cercando il mare ed il fresco, si vive all’alba e al tramonto, di notte poi si balla e si fa l’amore sudati e di giorno si legge, si scrive, si crea, si riposa. La vita lenta dell’eterna estate.

L’indomani sarebbe stato un giorno di mare così, pian piano, mano nella mano, ci dirigemmo verso il nostro hotel. Entrammo e, non si può resistere ad una piscina fresca alle due di notte, in una notte d’afa estiva ai Caraibi così, senza fare troppo rumore, ci spogliamo dei nostri pantaloncini, le camicie sudate, le scarpe ed i calzini e ci immergemmo con gli slip in quell’acqua piacevole notturna. Le risate trattenute, i racconti narrati a voce bassa, le storie guardando quella, a noi sconosciuta costellazione, che si districava sopra il muro, aldilà dei mattoni. Qualche bacio, alcune carezze, la vita umida di Cartagena ci portarono a letto, sopra le coperte.

a cura di Michele Terralavoro

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Redazione StreetNews.it
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