La Sicilia a 360 gradi, dalle bellezze artistiche alla piaga della criminalità.
È il secondo appuntamento operistico della stagione 23/24 e vede il ritorno del kolossal verdiano “I Vespri Siciliani”, andato in scena a Napoli l’ultima volta nel 2011 in versione francese. Allora c’era il tenore Gregory Kunde, sotto la bacchetta del compianto Maestro Gianluigi Gelmetti, con la regia di Nicolas Joël coadiuvato dal binomio Frigerio/Squarciapino.
Questa volta la regia è a firma della palermitana Emma Dante, che si pone l’obiettivo non di modernizzare, ma di attualizzare la vicenda della dominazione francese su Palermo della fine del XIII secolo. È in questa chiave di lettura che devono interpretarsi i vessilli sulla scena, nel primo e nell’ultimo atto, raffiguranti i volti delle vittime di mafia e lo sfondo del secondo atto composto di cartelli con scritte le località, le strade e le vie divenute note negli anni per eventi di cronaca nera. Ma non c’è solo questo.
Nel corso del primo atto le luci in sala si riaccendono e dai palchi della sala vengono esposti dai familiari i poster di alcune vittime di violenza in ogni sua declinazione, da quella di criminalità organizzata a quella di genere. Presente anche il poster di Giovanbattista “Giogiò” Cutolo, giovane musicista barbaramente ucciso lo scorso 31 agosto, appena accanto a quello di Giulia Tramontano e del suo Thiago.
La regia nel resto si conforma agli usi e ai colori di Palermo, dalla fedele riproduzione della Fontana Pretoria per le scene “all’aria aperta” al semplice ma appariscente color oro della sala da ballo del terzo atto. Interessante l’inserto del viale di statue nel quarto atto e la resa della rivolta finale tra siciliani e francesi. C’è spazio anche per lievi stravaganze sceniche: quattro soldati durante l’Ouverture giacciono a terra stremati per poi riprendere a combattere. Nella cesura tra quarto e quinto atto si danno ancora a colpi di spada l’uno contro l’altro in modo meccanico, quasi robotico, arrivando, attraverso una sottile ironia, a fare di quelle azioni un comportamento ridicolo e quindi – forse – a indicare la futilità della guerra.
Produzione quasi unicamente italiana, con la bacchetta ungherese di Nánási.
La direzione di Henrik Nánási è lineare, ma pressoché essenziale, basandosi su un gesto staccato e deciso, che talvolta sortisce l’effetto di mandare fuori tempo le parti cantate, specialmente nei terzetti/quartetti e parti corali. Il cast è un misto di esperienza e piacevoli scoperte, dalla rinomata Maria Agresta che dà vita a un’Elena ricca di pàthos, vittima del conflitto onore/amore, si distingue poi per rigore e brillantezza la prova di Piero Pretti, tenore estremamente collaudato nei ruoli verdiani (fresco di “Don Carlo” a Modena). Si distingue Mattia Olivieri per sicurezza e presenza scenica. L’inizio del terzo atto è da Verdi dedicato al suo personaggio, Guido di Monforte, e il giovane baritono lo affronta seduto sul suo trono da viceré mentre è alle prese con gli acuti della partitura per i quali alle volte è costretto a piccoli falsetti.
Applausi convinti per tutti da parte della sala. Presente tra il pubblico un altro grande regista, Mario Martone, impegnato proprio al San Carlo nell prossimo febbraio per la messinscena del suo “Don Giovanni”.
A cura di Giuseppe Scafuro – immagini riservate.