Non possiamo raccontare il presente, se non sappiamo da dove veniamo. Il termine memoria va necessariamente accostato a quello di tradizione, perché è anche attraverso questa che riusciamo a conoscere di più sul nostro passato. La vita nei borghi rurali e nei territori lontani dalle aree metropolitane si regge su un sistema di memoria e tradizione molto potente, ma così fragile da rischiare di scomparire per sempre, se non costantemente curato. Prendiamo il Vallo di Lauro, proprio nell’imminente periodo della Pasqua e guardiamo a tutti i rituali sacri e profani, gastronomici, sociali. Le processioni dei Biancovestiti, con i loro canti chiamati “Sepolcri”, che iniziano nel Lunedì del Decanato, l’ultimo prima di Pasqua, e terminano con il corteo in onore di Gesù morto, il venerdì sera; i larghi forni delle taverne e dei cortili condivisi che fiammeggiano per la preparazione delle pastiere, delle pizze di grano, della carne d’agnello. Il rituale pranzo del Sabato Santo, con le soppressate a far da contorno alle pastiere, fatte con il “pittolo” o senza: spunto di vivaci discussioni ancora oggi tra le due correnti di pensiero culinario. In passato, le versioni con e senza corrispondevano alle aree abitative, ma oggi le tradizioni si sono fuse, dato che non esistono, se non esclusivamente dal punto di vista amministrativo, i sette Comuni autonomi. In passato invece ad ogni comunità spettava una chiara e precisa identità, che partiva dalle impostazioni tonali dei Sepolcri e finiva proprio con le pastiere fieramente esposte sulle generose tavole da pranzo dei giorni di festa.
Il Vallo di Lauro ha sempre affrontato la questione della conservazione della memoria con la dovuta attenzione. Qualche anno fa, un gruppo di appassionati, sulle orme di un cultore di storia locale che era il professor Pasquale Moschiano, aveva avviato il progetto Wikivallopedia, attenzionato anche dall’ex ministro della cultura Massimo Bray, con il quale veniva condivisa la memoria di fatti e persone attraverso il web, con testi, video e immagini. Il progetto costituisce un almanacco prezioso, pieno di testimonianze e testi dal profondo senso identitario. Quando quel progetto è terminato, ad assumere il compito di tramandare ci ha pensato un altro cultore della storia , Severino Santorelli, attraverso un gruppo social, ma presto verranno pubblicati anche dei volumi. L’epoca digitale non aiuta moltissimo, nell’impresa di conservare memoria e tradizioni. Il mondo digitale è veloce e funzionale e troppo spesso non lascia spazio a ciò che può sembrare privo di un immediato riscontro, sia esso economico che di opportunità. Per questo, la cultura della tradizione passa in secondo piano. Allora va espresso un “grazie” a chi fa da custode della memoria, perché magari, un giorno potremmo aver bisogno delle sue ricerche e capiremo che, in altre circostanze, sarebbe andato tutto irrimediabilmente perduto.
Clemente Scafuro
