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“Io sono un bambino del terzo millennio”

Come stanno le donne nel nostro Paese? E gli uomini? Ma soprattutto, come stanno i bambini!?

Oggi ne voglio ricordare uno, che spero non muoia mai nel cuore dei giusti! La sua storia non si può certo dire che sia un fiore all’occhiello, per l’Italia!

Federico Barakat, a otto anni, si definiva: un bambino del terzo millennio!

Era bellissimo, molto intelligente, appassionato di tecnologia, uno studente eccezionale, allegro e pieno di vita. Aveva una passione straordinaria, per la lettura, il disegno, il teatro e molto altro. Amava moltissimo la mamma. Si rabbuiava soltanto quando doveva incontrare il padre, non avrebbe voluto vederlo, ma veniva costretto.

“Mio figlio, Federico, è stato ucciso a otto anni e mezzo dal padre, in un ambito protetto, mentre era affidato a un ente dello Stato, dopo che io, sua madre, mi ero rivolta al Tribunale dei minori e ai servizi territoriali, di mia spontanea volontà. Confidando nel sostegno, perché credevo nel ruolo fondamentale dello Stato. E allo Stato avevo chiesto di proteggere il mio bambino dalla violenza paterna; dimostrata, accertata più volte dalle forze dell’ordine e dalla Procura stessa: otto denunce.

Il padre di Federico era un uomo violento, disturbato, ossessivo; condannato, per aggressione in sede penale, e reo confesso. Avevo chiesto l’affido esclusivo di Federico, perché ero terrorizzata dalle sue minacce, nonostante questo, il Tribunale e i servizi territoriali mi definirono: esagerata, iper tutelante, mossa dal desiderio di ledere la figura paterna, una madre alienante. Io volevo solo difendere mio figlio, non sono stata ascoltata. Mai! Non è stato ascoltato Federico. Lui è morto!

Una settimana prima di morire, il mio bambino, aveva fatto un incubo; si svegliò piangendo disperato, nel sogno suo padre lo uccideva, si ritrovava in cielo, sopra una nuvola, poi arrivava uno gnomo che lo riportava dalla sua mamma, perché piangeva.

Il 25 febbraio del 2009, Federico veniva prelevato da scuola, portato dall’educatore all’incontro con il padre; alle 16:30, in sede dell’Asl veniva massacrato dal padre, che era  armato di pistola e coltello. Nessuno è intervenuto a soccorrerlo, nessuno! L’autopsia ha certificato che Federico a lungo ha tentato di difendersi da solo; suo padre gli ha inferto trentasette coltellate. Federico è morto dopo cinquantasette minuti di agonia. La Cassazione, pur decretando il fallimento dei servizi sociali, ha assolto tutti gli operatori coinvolti: la psicologa che seguiva il padre di mio figlio, l’educatore che ne aveva la custodia al momento della tragedia; tutti i responsabili, sottolineo tutti, sono stati assolti”.

Queste le parole della mamma di Federico, Antonella Penati, durante il suo intervento nell’aula di Montecitorio, nel 2017.

Sembrerebbe fantascienza, che pure è interessante al cinema, invece è una storia vera che fa rabbrividire, terrorizza, perché ci si sente non protetti, non ascoltati, e chi dovrebbe essere guardato a vista e limitato nelle sue azioni, per validi motivi, è lasciato libero di agire. Le conseguenze che ne derivano, in questo caso, sono catastrofiche, per non dire crudeli.

Qual è il messaggio di tutta questa storia? Non fidatevi dello Stato? Non fidatevi dei servizi sociali? Non fidatevi, non fidatevi, non fidatevi? Non può essere questo il messaggio!

E allora, cosa dovremmo pensare? Che è come giocare alla roulette?

Dipende, forse, tutto da dove vivi, chi incontri e tanto altro? Dipende dalla legge? Bisogna cambiare qualcosa? Qualsiasi cosa sia, sarà meglio fare in modo che morti come quella di Federico non accadano più!

Perciò, sono importanti le parole, molto intense, di Dario Fo, espresse al convegno “La tutela del minore in ambito protetto”, del 25 febbraio 2014:

“Federico Barakat, figlio di Antonella Penati, è il primo bambino in Italia ucciso in ambito protetto, cioè in un luogo dove persone sicure, scelte dallo Stato, si impegnano a fare in modo che un minore non riceva offesa fisica o morale.

Federico è morto il 25 febbraio 2009 in seguito a un’aggressione armata ad opera del padre, durante un colloquio, che era stato garantito sotto protezione, all’interno della ASL di San Donato Milanese. Prima di quel giorno, per anni Antonella e Federico hanno subito minacce e soprusi da quell’uomo disturbato, violento e ossessivo. Le aggressioni si sono perpetrate con agghiacciante regolarità, ma Tribunali, Carabinieri e assistenti sociali hanno deciso di considerare la parte da tutelare (e proteggere) quella paterna, consentendogli di incontrare il piccolo, sottovalutando clamorosamente la pericolosità denunciata da madre e figlio. Alle suppliche di Antonella, che era ben consapevole di quel crescendo di disagio paterno allarmante, le assistenti sociali hanno addirittura risposto con la minaccia di allontanare il bambino anche da lei, se non avesse consentito al padre di incontrare il figlio in un contesto protetto. Paradossalmente, quel contesto ritenuto sicuro e controllato è lo stesso in cui quell’uomo è potuto entrare armato di coltello e pistola, lo stesso in cui è stato lasciato solo con il figlio, lo stesso in cui ha potuto ucciderlo prima di togliersi la vita.

Sappiamo i nomi e cognomi delle persone che non hanno protetto Federico, quel giorno, dagli spari alla nuca e dalle coltellate, ma questa vicenda atroce porta alla luce delle responsabilità ben più estese. Denuncia soprattutto una follia istituzionale radicalizzata, figlia della mancanza di cultura e di preparazione di chi deve proteggere i minori, ovvero tutti noi. Siamo un popolo di disinformati, di uomini e donne distratti, che voltano la faccia davanti alle denunce di una madre che vuole proteggere un figlio. Siamo un popolo che ancora oggi ignora questa storia orribile, che non vuole ammettere di aver lasciato solo Federico in quella stanza, per non parlare dei giudici che preferiscono, nel giudizio, lasciar correre e iscrivere il dramma in una casualità senza colpevoli.

Ma è ora di accettare la verità, che ci indica tutti come colpevoli, davanti a queste tragedie, perché non ci siamo lasciati coinvolgere, non ci siamo interessati di quanto accaduto e la comunità ha preferito ignorare. È il grave tarlo di un popolo fatto di persone che mettono sempre avanti se stesse e non riescono a vedere gli altri. Se la società non riesce ad assumersi la responsabilità di un fatto tanto grave vuol dire che non vuole nemmeno prenderne atto, vuole ignorarlo, vuole continuare a lasciare che si uccidano i suoi figli, anziché proteggerli. Ma la responsabilità maggiore viene dall’alto: judicem significa colui che giudica persone o cose e ha la competenza e l’autorità di emettere giudizi. Ma dov’è la giusta sentenza? In quella stanza Federico è stato lasciato solo da tutti noi, senza tutori, senza custodi, senza protettori.

Quanto avvenuto presso l’ASL di San Donato Milanese non è da archiviare come fatale distrazione. Si tratta di un atroce insulto, di una tremenda superficialità collettiva. Una mancanza di responsabilità a tutti i livelli, che si manifesta con il rifiuto di proteggere i deboli e di far rispettare le leggi. Non possiamo accettare che, nel nostro Paese, un luogo di tutela e protezione di un minore sia lo stesso dove un padre, più volte segnalato come violento, possa uccidere un figlio, indisturbato. Chi non protegge deve essere punito. Perché nessuno può fare parte di una società che non si prende cura dei propri figli.
Il 27 gennaio 2015, le persone negligenti, superficiali e prive di senso civico che dovevano tutelare Federico, sono state assolte dalla Corte di Cassazione. Giustizia è fatta: la signora bendata che siede solenne all’ingresso del Tribunale da tempo è stata rovesciata a terra e ognuno finge di non essersene accorto”.

Ma perché si è fatto il pieno di assoluzioni? Udite, udite: “Tutti assolti, perché sul foglio del Tribunale di Milano non c’era scritto che l’ente, a cui era affidato mio figlio, aveva l’obbligo di proteggerlo durante le visite protette, quindi mancando queste due righe, le persone, in questione, sono ancora al loro posto. E c’è da aggiungere che l’educatore preposto alla visita protetta, per due ore, si è allontanato, per qualche secondo, sostiene. Bene, “Qualche secondo” che sono stati cinquantasette minuti, in cui mio figlio è stato accoltellato trentasette volte”.

A voi l’ardua sentenza!

Il 7 settembre 2021, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha respinto il ricorso degli avvocati di Antonella Penati, che ha commentato: “… Penso che sia disastrosa e disumana la sentenza di Federico Barakat. La peggiore sentenza che riguarda un minore dal 1959 a oggi, non perché riguarda mio figlio, ma perché stabilisce che lo Stato non ha il dovere di proteggere un minore a lui affidato. Questa sentenza colpirà tutti i bambini italiani ed europei, ed è la dimostrazione orrendamente palese, come mi disse Dario Fo, alla sentenza di Cassazione, che ribadiva la medesima sostanza, ossia, che lo Stato non solo non protegge i propri cittadini e i bambini, ma che: magistrature italiane, organismi europei e magistrati di nomina di Stato, come anche il giudice italiano, non sono lì, per fare gli interessi dei diritti dei bambini, delle donne e degli uomini che subiscono violenza e negazione dei loro diritti, ma sono lì, per fare gli interessi di Stato”.

http://www.federiconelcuore.com/

A cura di Maria Grazia Grilli

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