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Il rock di Maurizio Ferrandini non si lascia influenzare dalle mode e dalle imposizioni delle etichette discografiche

Maurizio Ferrandini, cinquantenne sanremese, figlio della città dei fiori e della canzonetta da mainstreamer, è in realtà uno dei tanti fratellini scomodi e mai riconosciuti dal sistema, perché non si è mai uniformato, non si è mai lasciato plasmare dalle mode e da un settore discografico che, per sua natura e storia, tende a corrompere tutti i suoi protagonisti con i generi e le sotto-categorie del pop.

Nel 2020, complice il lockdown dell’emergenza sanitaria, incontra “virtualmente” il vecchio amico Luca Bonaffini col quale realizza un format in cinque puntate per Globus Television dedicate alle “storie dietro alcuni vinili d’arte”: si tratta di Mash Up Kult che, andrà in onda durante il Natale successivo, ottenendo un grande successo. Nel 2021, per lo stesso Bonaffini, realizza il videoclip de “Il futuro ero” (singolo del cantautore mantovano) e sarà proprio in quel contesto che riceverà da Luca la proposta per la pubblicazione di un album. 

Ben tornato Maurizio.

Ciao Maurizio, cosa ti ha spinto a realizzare l’album “Io non c’entro col rock”?
E’ un titolo chiaramente ironico come ironico è il mio modo di affrontare la musica.
Bisogna essere in grado di non prendersi mai troppo sul serio, ma essere seri quando la situazione lo richiede. Non mi sento parte del clichè del rock: droghe, alcool e atteggiamenti da star non fanno per me.
Tutto quello che è legato al rock però è un gioco che si può sempre fare consapevolmente e magari cercare di portare messaggi positivi senza ipocrisia.

Il genere rock in Italia è morto, boccheggia oppure continua ad esserci solo che si nasconde nella nebbia?
 Il rock esiste anche se i giovanissimi non sanno distinguere un oboe da un basso. Il rap ha fatto più danni dell’eroina.
Ma i “ragazzi” di oggi hanno 30 anni, alle volte 40 e sono determinatissimi.

E, invece, come vedi il rock fuori Italia?
Il rock fuori dal nostro paese è sempre stato ad alti livelli e non è cambiato negli anni.
L’America continua ad avere i suoi grandi miti che da settantenni producono freneticamente, ma nascono anche nuove band dalle grandi possibilità.

Qual è la canzone, tra quelle dell’album, che ti rappresenta maggiormente e ti ha dato più soddisfazioni?
Il buio è il mio brano più amato, è una canzone che sembra parlare d’amore ma in realtà è una spietata visione della fine di un rapporto.
La canzone nonostante tutto parla di speranza e forza interiore, che ha aiutato molti estimatori ad attraversare momenti durissimi.
Quando una canzone penetra chi l’ascolta ,il compositore ha ottenuto il massimo dal suo lavoro.

Il brano che ti ha portato via più tempo?
Totem a livello compositivo perchè ha una serie di passaggi complicati.

Chi è l’artista che hai come riferimento musicale?
TOM PETTY !Il mio grande riferimento che omaggio anche nel clip di Quello che fa bene.
In America è un mito assoluto da sempre, in Italia non ha un grosso seguito o per lo meno non come avrebbe meritato.
Amo il suo approccio al rock e l’utilizzo di strumentazione vintage.

Da chi ti piacerebbe ricevere una proposta di collaborazione?
Da Luca Bonaffini…a no aspetta, questo è in parte avvenuto…allora vorrei fare un disco con Bugo e mollarlo sul palco dell’ European Music Award in prima serata.

Progetti a breve e lungo termine?
Altri dischi, promuovere le tante cose che ho scritto e magari realizzare anche clip per altri

Alessandro Testa

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Alessandro Testa
Alessandro Testa
Classe 1984, è ingegnere e allo stesso tempo critico cinematografico e appassionato di cronaca e giornalismo. Dal 2019 collabora per StreetNews.it!
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