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I Maneskin alla conquista dell’Europa

Nel 2017 si presentavano all’undicesima edizione di X Factor e conquistavano il secondo posto dietro a Lorenzo Licitra. Oggi si preparano per la partecipazione all’Eurovision song contest 2021. Nel frattempo, i Maneskin si sono creati un piccolo angolo di paradiso, vincendo anche l’ultima edizione del Festival di Sanremo, con Zitti e Buoni, un brano molto rock che richiama certe sonorità da tempo lasciate nel dimenticatoio. Certamente non ci si aspettava una vittoria da parte di questa band di Roma, eclettica, irriverente; eppure Damiano, Ethan, Victoria e Thomas hanno contribuito a risvegliare un po’ gli animi narcotizzati da un contest, quello sanremese,  fatto di troppi stereotipi e standard obsoleti. Con il loro secondo album dal titolo Teatro d’ira vol. 1, ribadiscono la loro identità “fuori dai canoni, la visione più sincera e reale di noi stessi, perché la musica è l’unica cosa che conta”. Il primo singolo di anticipazione è stato Vent’anni, uscito il 30 ottobre 2020, che ha tributato l’ennesimo disco di platino. Ora la scena è catturata proprio da Zitti e buoni, brano che è entrato nella Billboard Global, USA esclusi, insieme a Musica Leggerissima di Colapesce e Di Martino, Chiamami per nome, di Michielin e Fedez, e Voce, di Madame. Per la prima volta nella storia, quattro canzoni in lingua italiana entrano in questa classifica contemporaneamente e sono tutti brani presentati a Sanremo. Tornando ai Maneskin, va detto che le aspettative sono ambiziose: l’Italia non vanta una grandissima tradizione rock, ma in diverse occasioni ha dimostrato di saperci fare. Lo ha fatto con i PFM  e Le Orme nel progressive, con i Litfiba nell’alt e hard rock, con i Lacuna Coil nel gothic e ancora con gli Afterhours, Banco del Mutuo Soccorso, Goblin, CCCp, Subsonica… Oggi tocca a loro: l’album alterna ballate, come Coraline, a pezzi di vigoroso rock come For your love, passando per un Nu metal palese in Lividi sui gomiti o In nome del padre. Un album da ascoltare più di una volta, rigorosamente con cuffie, per godere pienamente della voce calda e graffiante di Damiano, della chitarra del virtuoso Thomas, del basso arrogante di Victoria, della batteria regolare e perfetta di Ethan. Teatro d’ira richiama ad alcune sonorità proprie dei Metallica, come in Vent’anni, maliziosamente mescolate con un ingrediente pop niente male. Ma attenzione a non strafare: siamo lontani dal rock di qualità, per ora non abbiamo i nuovi alfieri del rock. I presupposti ci sono, ma le aspettative potrebbero creare l’effetto contrario, nel caso in cui questa band di giovanissimi dovesse compiere un passo falso…  In sintesi, Teatro d’Ira potrebbe essere il pronti-via del nuovo rock targato Italia, ma c’è ancora molto lavoro da fare.

Clemente Scafuro

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Redazione StreetNews.it
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