Diario di avventure, finestre sulla Terra. Lisbona, nostalgico amor mio. Primo atto.

Il sole balugina assonnato tra la nebbiolina all’orizzonte. Sono uscito dalla stazione dei bus e mi sono diretto verso una collina verde con una grande fontana che l’attraversa come una spina dorsale. Ci sono abbastanza persone per essere solo le 7 del mattino. Alcune corrono, altre portano a spasso il cane, altre hanno dormito sulle panchine bagnate dalla rugiada, ed una discute. Che voglia di discutere hanno alcune persone, e di prima mattino tra l’altro. Guardo fugace e proseguo verso la cima. Da qui su, passando per la discesa del prato, superando la rotonda con al centro una aiuola, oltrepassando gli edifici con le persiane abbassate e le poco macchine che conducono verso chissà dove, si arriva, con lo sguardo, a lui. Il mare, anzi, il fiume che sembra il mare per la sua vastità alla foce, il Tago. È spettacolare, riflette il sole che si sta pettinando prima di alzarsi completamente e affrontare la giornata. Lisboa, grazie per questo buongiorno. Riscendo lento, con passi tranquilli, sono alla ricerca di un bar per fare colazione, devo aspettare fino alle 11 per poter lasciare il mio zaino e la tastiera in camera, non mi è permesso prima. Ne approfitto per passeggiare per le vie ancora poco affollate del centro della capitale del Portogallo. Incontro un baretto aperto vicino all’albergo dove alloggerò questi giorni. È una zona tranquilla, a pochi passi da una delle piazze principali. Parlo in spagnolo e, fortunatamente, mi capiscono senza nessun problema. Cappuccino e cornetto, nulla di esotico, buono. Salgo in camera, faccio il check-in, lascio tutto e come sempre, plano fuori alla scoperta della città. È la mia prima volta qui, sono emozionato.

Discese e salite si alternano senza sosta a Lisbona, per il centro storico. Dei ricordi di qualcosa che non ho mai vissuto riemergono nella mia mente. Memorie e déjà-vu, forse sono già stato qui, in un’altra vita, in un altro momento, forse durante la vita di marinaio ed esploratore, che ho avuto l’opportunità di vivere in un altro tempo, lontano da questo, un tempo sconosciuto, denso, del passato o del futuro, chissà. Girovago e salgo, ascendo le viette strette affollate di murales e baretti da dove escono chiacchere allegre. Girovago e mi perdo, che bello perdersi in una città sconosciuta, d’estate, quando tutto suda e traspira felicità. Mi perdo tra le mille casette arroccate che si affacciano sul Tago. Tutto è rivolto verso il fiume, un fiume dove entrano navi ed imbarcazioni di grandi dimensioni, un fiume dal sapore salato. Arrivo ad una grande terrazza che dà su tutta la nostalgica città. La salsedine viene soffiata leggermente attraverso tutti i vicoli, trascinata arriva fin sotto il mio naso. Posso sentire il profumo dell’oceano Atlantico, riesco ad assaporare le infinite storie che ha da raccontarmi, le miriadi avventure che ha visto solcare al di sopra del suo manto blu. Resto lì, immobile con un bicchiere di succo naturale di mango, comprato qualche secondo prima, la condensa cade ai miei piedi che fremono di conoscere di più e già ma io voglio assaporare tutto questo ancora un po’, almeno fino a quando non sentirò il suono della cannuccia che risucchia l’aria e suona dentro il bicchiere di cartone rigido.

“Devi prendere il tram giallo, il numero 16 fa il giro più bello” mi dirigo così verso il capolinea del tram, dalla piazza in basso, vicino all’ascensore panoramico dove fanno la fila cento di persone, e che io non farò. Salgo, compro il biglietto e mi siedo. Il tram è effettivamente giallo fuori, le sedute sono in legno scuro così come il pavimento, è bellissimo, scricchiola e si lamenta degli anni ad ogni curva. Come mi avevano detto inizia a risalire, si trascina dentro i binari sfiorando ad ogni curva case e finestre. È così prossimo da essere quasi dentro le casette. Dalle finestre potrei mettere una mano e prendere una mela dal tavolo. In uno di questi pensieri rasentiamo un altro tram, è azzurro, l’uno fa spazio all’altro, con romanticismo ed eleganza antica, stoica. Si fanno spazio e piano piano si avvicinano, quasi si toccano ma non lo fanno, si fermano. Rimangono qualche istante, sembra eterno il loro sguardo. Dalle finestre, quasi a tempo lento, una signora stende i panni bianchi, il bucato della settimana, dal lato opposto un ragazzo addenta una mela rossa, succosa e densa. In basso una ragazza si pettina i capelli infelice, sembra trattenere le lacrime. Ed una moto taglia la scena scendendo la discesa ad alta velocità. Posso sentire quello che si dicono, i due tram, così simili da sembrare una sola cosa eppure impossibilitati a toccarsi, assaporarsi, darsi un abbraccio che calmi le acque del non troppo distante oceano Atlantico. Li sento bisbigliare:

“Siamo stati eterni in quell’attimo in cui ci siamo sfiorati,

obbligati ad allontanarci eppure,

con la consapevolezza che ci ritroveremo,

in un tempo indefinito ed abbacinante,

un tempo affine a questa esistenza, unica e senza contrari.

Noi ci rincontreremo fino a far tremare la terra affinché ci avvinci,

seppur di un solo millimetro,

e lì saremo, fusi nell’interminabile”

Brulica l’oceano dentro il Tago, sento le sue vibrazioni fin qui su, in cima, al capolinea del tram giallo. Sono sceso, c’è un mercatino di antiquariato, oggettini varie, una radiolina, un cannocchiale, un lettore cd portatile mi ricorda le gite alle medie quando ascoltavo i cd di Whitney Houston comprati, ovviamente originali in un negozietto, una discoteca vicino al McDonalds, in un mini-centro commerciali in Via di Prati Fiscali. Mi ricordo che li pagavo mettendo da parte le paghette che mi davano i nonni. Riemergo dal ricordo, dalle memorie trasmesse da qual lettore cd grigio metallizzato, lo compro. Mi dirigo verso il parapetto in mattoni. La vista da qui su è magica, Lisbona così non vale, mi stai facendo innamorare a suon di rammenti e felici malinconie di anni passati consapevolmente contento. La osservo, Lisboa, ti chiamo col tuo nome proprio come meriti, la scruto da qui su, sei magnifica, nostalgico amor mio…

a cura di Michele Terralavoro

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