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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Cascais, Cabo de Roca e l’Oceano Atlantico.

Mi adagio. Poso la nuca sullo zainetto arrotolato, la mia Kanken gialla che si converte in molteplici cose, mio fedele compagno di viaggio. Poggio la testa ed osservo il cielo sopra di me. L’aria scorre un paio di nuvolette bianche e pallide verso la terra, provengono dall’oceano Atlantico, chissà che largo pellegrinaggio hanno compiuto. La sabbia è calda e mi percorre tutto il corpo di una leggera sensazione, piacevole, di calore. Alcuni uccelli volano rapidi accompagnati dal vento, si posano su qualche arbusto, albero lì presente, mi sembra di vedere il loro occhi chiudersi rilassati e godersi il sole come me in questo mento. Mi sorprendo. Qualche gabbiano sembra essere immobile, seppure in volo, immobile. Come un colibrì, osservo attentamente il gabbiano in alto, quanta forza impiega per non muoversi, quanta energia? Penso.

A quanto pare si puoi restare in volo, pur restando fissi sullo stesso posto. Volare stando fermi, rimanendo così sospesi tra ciò che potrebbe essere ed un porto sicuro. Era controvento, contro il vento stabile e tenace proveniente dall’ Atlantico. Controvento, “contromare”, controsole, come la maggior parte della nostra vita. Per andare contro ci vogliono muscoli e spalle forti, ma soprattutto, occhi resistenti. Chiuderli non vale. Ci vogliono i muscoli anche per restare, immobili in volo sopra casa. Come questo gabbiano bianco, con un piccolo becco giallo. Chiazza bianca nell’ azzurro. Che forza ci vuole per restare. Ci si potrebbe lasciar andare, ma si rischierebbe di finire contro un muro, o peggio, in gabbia. Bisogna avere occhi resistenti. Bisogna saperli usare. Bisogna avere braccia grandi. Con i giusti compagni di viaggio. Come scrisse Boris Pasternak ne “Il Dottor Zivago”:

“Si accorsero allora che solo la vita simile alla vita di chi ci circonda,

la vita che si immerge nella vita senza lasciar segno è vera vita,

che la felicità isolata non è felicità…”

Si può andare. Altrove ed Oltre. Oltre tutta questa melma che copre i sentimenti, gli specchi, gli schermi vuoti ed asettici, gli uffici impersonali come le persone senza sogni, amori, passioni. Genti prive di un proposito, di un obbiettivo. Trovare posti magici, posti in cui tornare, posti da cui fuggire, sfuggire o luoghi solamente da sfiorare. Saranno ricchi di ricordi, come le vite che si intrecciano in questa tela infinita che è la vita. Continua a tessere, scegli i coli unici che ti fanno sentire bene, se vuoi fatti aiutare da mani sincere e buone, attorciglia le risate di felicità, le lacrime di gioia, qualche momento triste. Ogni viale ti ricorderà qualcosa. Ogni profumo di pane caldo ti ricorderà l’essere, l’esserci. I ricordi sono per sempre, non lì accumulare insieme agli oggetti da buttare, non lì sprecare o dimenticare per immagazzinare l’inutilità del rancore o della rabbia. Ed è proprio in quell’angolo di infinito che potrai volare anche tu. Ci vuole coraggio per essere felici.

Mi sveglio. Mi ero addormentato con la testa sul mio zaino giallo, osservando il cielo. La caletta si è riempita di una decina di persone in più, rimane comunque praticamente vuota e tranquilla. Che spettacolo. Sono rosso. Anzi rossissimo. Mi ero messo un pochino di protezione solare ma solamente sul viso e non abbastanza. Ero rimasto lì poco più di un’ora e mezza. Mi alzo, mi stiro un pochino la schiena, mi getto in acqua per svegliarmi per bene e mettermi la crema solare in tutto il corpo. Chi viaggia solo avrà sempre un pezzo di schiena, tra le scapole, ustionato. Almeno quelli che come me non riescono a raggiungere con le mani quel luogo recondito e metter un po’ di protezione. Mi asciugo osservando l’orizzonte, mi rivesto e mi avvio verso il mio motorino, in cima al promontorio roccioso e arenoso.

Salgo tranquillo, non ho fretta, mi godo il percorso ed il panorama. Avevo proprio bisogno di posarmi. Di lasciarmi scivolare in un posto. Lasciare il mio corpo fermo e muovermi più leggero, senza la mia ombra. Avevo bisogno di una roccia dove sedermi ed osservare. Da questo faro, la vita è più intensa. Non esiste orizzonte, se guardi davanti a te, confondi la linea del mare con quella del cielo, offusca la vista il vapore, ed elimina i contorni. Non ci sta vertigine o timore. Rocce senza fine. Chissà quali storie ci sono, voltando l’angolo, laggiù, dopo il mare, quante vite inglobate dalla vita ci sono. Per sempre è un tempo meraviglioso, e qui, l’ho toccato con mano. Mi sono ferito le gambe e le braccia, rotto scarpe e l’ho visto. Ho visto il Per Sempre e li mi sono ritrovato. Davanti a questo senza fine di vento e sale, d’alberi e rocce, io, mi sento a casa, sento oscillare la terra, la posso sentire muoversi. Oceano. Ho ritrovato i miei pensieri felici, le mie biglie colorate. Cabo de Roca, qui il per sempre è il mio tempo. Torneremo ad incontraci mio amato faro. Nuova destinazione mi aspetta. Sevilla sto arrivando.

a cura di Michele Terralavoro

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Redazione StreetNews.it
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