Che sia un Essere umano straordinario, emerge sin da subito, è evidente incrociando i suoi occhi profondi, che accompagnano le parole e i sentimenti nel dialogo con lei.
Annabella è uno scrigno di saperi, ricordi, amore, passione, semplicità, compassione, professionalità, ma che devo dirlo io? È innegabile oltre che risaputo. Annabella è “roba” autentica. Un diamante che, chiaramente, brilla dalla mattina alla sera. Dubbi non ce ne sono. Provare per credere.
Ho cercato qualcosa in cui Annabella non sia stata perfetta, con le sue molteplici sfaccettature, e sto ancora cercando.
Inoltre, direi che si può “nuotare” nella sua infinita dolcezza.
Ho ascoltato i suoi racconti, gli aneddoti e tanto altro, senza riuscire a staccare i miei occhi dai suoi, avviene raramente, ma quando accade, di non poter staccare i propri occhi dagli occhi di qualcuno che si ha di fronte, è una sensazione di vero piacere, legata a un motivo molto semplice, a mio parere, e cioè quello che la persona sta dicendo proviene direttamente dal cuore.
E Annabella Cerliani ha un cuore grande!
Annabella, hai incrociato sulla tua strada persone e artisti eccezionali, dipende un po’ dal fatto che lo sei tu eccezionale?
Io non sono nessuno. Sono stata semplicemente fortunata, avendo grande empatia e interesse per il mio prossimo ho conosciuto delle persone interessanti.
Ho conosciuto tutti i miei amici, che poi sono diventati celeberrimi, quando non erano ancora famosi, cominciando da Modugno, Proietti, la Melato, Umberto Eco, però è stata pura fortuna. Quando ci siamo incontrati con Umberto Eco, lui era un simpatico giovanotto, funzionario della Rai.
Vivevamo in un mondo migliore, sicuramente, dove si dava più valore all’abilità professionale, alle capacità, quindi facendo un certo lavoro, semplicemente, si potevano trovare persone straordinarie.
Come sono cambiati i tempi per chi lavora nel teatro, nel cinema e nei programmi televisivi? Te lo chiedo, poichè tu hai avuto esperienze strepitose al riguardo, in tutti e tre i campi.
Non sono cambiati, sono precipitati. Tutta la, vogliamo chiamare, civiltà? Modo di vivere? Il nostro era un mondo piccolo dove questo mestiere, lo spettacolo, non voleva farlo nessuno, perché le donne erano tacciate di poca moralità, e poi non era una professione stimata, ragguardevole, le professioni ragguardevoli erano fare il medico, il notaio.
Quindi per noi della generazione nata intorno al quaranta era molto più facile, dato che eravamo, come si dice, quattro gatti e contava il merito, soprattutto, per fare la televisione; si andava in diretta, era molto complicato, bisognava avere grande memoria, nervi saldi, fotogenia, un sacco di cose, perciò la selezione, pur nell’ambito di pochi partecipanti, era crudele, pertanto lo facevano, in parte, le persone che avevano queste prerogative, che non erano proprio da tutti/e. Non è un vanto, è pura considerazione.
Al tuo fianco c’è stato un uomo speciale, e mi riferisco a tuo marito Giovanni Arnone.
Mio marito è stato un uomo molto intelligente, piacevole, spiritoso e poi toscano, io ho una predilezione, trovo che i toscani abbiano fatto l’Italia, e anche con la loro presunzione va bene.
Giovanni era il mio vocabolario, quando avevo un’incertezza su come dire una parola, lo chiamavo: “Scusa, spero di non disturbarti, come si dice…” e lui mi diceva la dizione corretta. Io gli chiedevo: “Ma perché?” e lui mi rispondeva: “Nina, perché così lo dico io”.
Mio marito ha fatto molto per il teatro.
Mi manca tantissimo, più che a me manca al teatro italiano che lo ha dimenticato.
È stata una persona determinante.
La domanda, di rito, dalla quale non possiamo scappare è: cosa consiglieresti a chi volesse cimentarsi nel lavoro di attore, attrice, regista, sceneggiatore, sceneggiatrice e quant’altro?
Vuoi la verità?
Sì.
Essere ricco/a. Questa è la prima qualità. Come tutte le professioni del resto, una professione come quella dello spettacolo esige grandi tempi di incubazione, devi stare ai margini, a meno che tu non sia Miss Italia o uno di questi belloni che si trovano solo oggi. Nella mia epoca non c’erano o forse sì e non li conoscevo io. Dunque avere una famiglia o un patrimonio che sostiene: una nonna, un padre, una zia, per cui nel tempo si può aver modo di farsi apprezzare, pubblicare o scrivere, praticamente stare in un gruppo guadagnando quasi niente e poi andare avanti.
Le carriere che abbiamo fatto noi non esistono più. Oggi anche quello che questo lavoro rende, tranne che per i divi della televisione, è insufficientemente, inadeguato. È molto difficile. Io stessa ho potuto farlo, perché, intanto, ero figlia unica, venivo da una famiglia modesta, mio padre era un fior di artigiano, faceva le riproduzioni d’arte, le immagini a colori per i libri, mi ha insegnato ad amarli, i libri; poi comunque avendo una figlia sola era più facile, sicché persino allora era così, solo che la vita essendo meno complessa e con più possibilità di lavoro, il così detto baliatico era un po’ più corto. Lo so, è una tremenda ingiustizia.
Annabella, so che hai alcuni progetti nel cassetto. Si può non smettere di coltivare sogni? È così per te, mi pare di capire.
I sogni, non lo so. Io non ho mai avuto dei grandi sogni, l’orgoglio inconscio, quello sì, c’era, di bastare a me stessa, di lavorare; venivo da una generazione di donne, nonne, madri che non lavoravano, lavorava soltanto mia zia che era una dirigente industriale e io avevo lei come modello di indipendenza, mia zia è andata a dirigere fabbriche in tutta Europa.
I sogni non me li permettevo, era una generazione di gente meno autoreferenziale di adesso.
Il sogno della pace, quello è rimasto un sogno, non pensavo mai di potermi trovare, alla mia età, difronte alla guerra e alla bomba atomica, sono cose che mi sconvolgono nel profondo. Pensavo che il problema della guerra e della atomica fosse accantonato e invece come vedi non è così.
A cura di Maria Grazia Grilli