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Teatro San Carlo: torna a fare visita il “Don Giovanni” di Mario Martone.

Il regista partenopeo ripropone “in casa” la sua versione del kolossal mozartiano dopo 22 anni.

L’appuntamento operistico per il mese di Febbraio al San Carlo è con il “Don Giovanni”, la storia del dissoluto più emblematico della letteratura secentesca, ricreata nel 1787 dal binomio Da Ponte/Mozart. Dopo il “Tristan und Isolde” della stagione 21/22 torna per il secondo impegno sancarliano in carriera il direttore Constantin Trinks, esperto nel repertorio mozartiano e per l’occasione anche Maestro al clavicembalo nei recitativi.

Negli ultimi mesi ogni opera andata in scena a Napoli si è fatta notare per la singolarità delle regie, a partire dall’infausto “Maometto secondo” di Calixto Bieito fino ai ribelli e commoventi “Vespri siciliani” di Emma Dante passando per il divisivo melting-pot della “Turandot” d’inaugurazione a firma di Vasily Barkhatov. Lo stesso discorso vale per Mario Martone, che ripropone al pubblico napoletano una full-immersion tra le strade di Siviglia, in una scenografia dove la sala e il palcoscenico sono un tutt’uno e le avventure e disavventure della coppia Don Giovanni/Leporello e degli altri personaggi si sviluppano in maniera orizzontale. Sulla scena, una monotona tribuna, polivalente, si direbbe, dall’inizio alla fine della rappresentazione (che risparmia anche i loculi e i cipressi  della scena del cimitero).

Tra i corridoi della platea ci sono continue sorprese: il corteo funebre del Commendatore, appenna ucciso dal protagonista, la tentata fuga di quest’ultimo insieme a Zerlina a conclusione di “Là ci darem la mano” poi interrotta dal sopraggiungere di Donna Elvira, oppure la banda di Masetto, nel secondo atto, che si aggira con fucili e forconi tra il pubblico in cerca del dissoluto. Tra gli applausi alla fine di ogni aria e le risate sotto i baffi dello spettatore-melomane, lo spettacolo è un continuo divertimento.

Grande prova interpretativa e vocale del cast.

Enorme contributo in tal senso è dato dall’enorme vis comica del cast. Andrzej Filonczyk, talento polacco del Belcanto, recente Filippo nella “Beatrice di Tenda” in concerto, dà voce e forma a un Don Giovanni auntentico, sciupafemmine, terribilmente sfrontato, anche al cospetto del destino inesorabile, che lo scaglia negli inferi. Durante la sua aria-manifesto, “Fin ch’han dal vino”, il baritono fa volare in aria la camicetta sfrenandosi a ridosso delle poltrone a petto nudo, con tanto di grasse risate finali di chi è sicuro di essersi guadagnato decine e decine di nuove belle donne.

Al suo fianco il Leporello del debuttante Krzysztof Baczyk, anche lui polacco, il quale dà grande prova interpretativa nell’aria di cartello “Madamina, il catalogo è questo” come anche nei recitativi insieme a Don Giovanni, dove fa percepire il modo di fare del personaggio ironico, affiatato e complice. Per le voci femminili, ottime prove di Roberta Mantegna e Selene Zanetti rispettivamente Donna Anna e Donna Elvira, la prima che vive il conflitto tra tentazione erotica e vincolo amoroso, la seconda, che tenta fino all’ultimo di muoversi a pietà nei confronti di Don Giovanni, sua vecchia fiamma che ora si manifesta oscuro manipolatore, per poi essere costretta a ritirarsi a vita privata in solitudine. Candida contadina, graziosa, ma anch’ella stregata dal fascino del Don è la Zerlina di Valentina Nafornita, a danno del geloso Masetto, interpretato da Pablo Ruiz. 

Completano il cast Bekhzod Davronov nei panni di Don Ottavio e Antonio Di Matteo nei panni del Commendatore, il “Convitato di Pietra”, prima portato in corteo funebre poi posizionato alla sommità della tribuna in tenuta bianca, a ricordare il marmo della statua. 

È una produzione che fa “staccare la spina” con la sua semplicità e spigliatezza e che concede allo spettatore del nostro tempo, figlio dell’impero del politicamente corretto, uno sguardo al passato con dei momenti di oscena e grossolana comicità. Forse basta questo per fermare le guerre che attanagliano gli animi delle persone e che non smettono di recare morte e distruzione nei vari angoli della terra: ed è così che alla fine dell’ultima rappresentazione del 27 febbraio dalla scena si stende uno striscione gigante con una scritta nero su bianco, inequivocabile, netta: “Cessate il fuoco”.

A cura di Giuseppe Scafuro – immagini riservate.

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Redazione StreetNews.it
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