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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Ricordi primaverili sotto il sole de La Ceja

Ritornò a Medellin quella domenica pomeriggio, ci saremmo rivisti il venerdì successivo, nuovamente qui, a La Ceja. Io avrei avuto il tempo per esplorare, conoscere, familiarizzare con questo nuovo territorio, con le sue abitudini, i suoi orari, abituarmi al nuovo fuso orario, al suo cibo ed usanze. Mi svegliai molto presto, alle quattro del mattino, il jet lag ancora doveva affinare le sue lancette così, dopo aver lavorato decisi di andare a esplorare il mondo fuori dal mio appartamento. Presi il cellulare, un libro e gli occhiali da sole e via fuori da qui.

Iniziai a passeggiare per le strette vie del paesino, il sole brillava bianco in alto, incastonato nell’azzurro denso ed opacizzato di questo nuovo e primo lunedì. Era un lunedì speciale per me, unico, era il lunedì che sanciva l’inizio della mia vita da questa parte di mondo. Ho sempre amato i lunedì, e quel lunedì l’ho amato ancor di più. La temperatura era perfetta, né caldo né freddo, era primavera e lì, lo era sempre, tutto l’anno, che goduria. Indossavo un pantaloncino corto grigio scuro, delle scarpe da ginnastica bianche, una maglietta a maniche corte ed una felpa leggera di cotone, in una tasca le chiavi di casa, in mano il cellulare ed un libro di Federico Pace intitolato “La più bella estate”, l’ultimo libro uscito prima che io partissi e che non potevo non avere, giacché è uno dei miei autori preferiti. Passeggiavo con il naso all’insu, osservando le insegne dei negozietti, i nomi dei supermercati, il macellaio, le frutterie, gli spacci, le piccole farmacie, tutto era a misura d’uomo. Non v’erano tanti edifici alti, la maggior parte erano case su un unico livello, al massimo su due piani o nuovissime costruzioni, come quella dove vivevamo noi, che ne aveva invece cinque di piani. Questo permetteva al sole di scorrere quasi in ogni singolo angolo di strade, viuzze o incroci, sbattendo sui portoni e porte, illuminando, riscaldando e rallegrando il passeggiare delle persone. Il sole era parte integrante della vita, qui ne La Ceja Antiochena.

Dopo circa 15 minuti, raggiunsi la piazza principale del paese, volevo prendermi un caffè seduto in uno dei suoi bar che si districavano lungo tutto il perimetro d’essa. Era verde, sembrava una mini-foresta. Al centro della piazza v’era una concentrazione di piante, palme altissime, arbusti verdi e rigogliosi, cespugli più bassi che sfioravano la pavimentazione biancastra che ricopriva gran parte del parco principale. Una grande chiesa bianca padroneggiava silente il lato più alto. Era bianca con delle parti color bordeaux, in totale stile coloniale, le sue porte in legno massiccio aperte mi permisero vedere il suo interno, l’alto soffitto con travi in legno a vista, le sue pareti piene di quadri raffiguranti alcuni passaggi della bibbia. Mi ricordai che, una gran parte delle chiese in Europa restano chiuse, qui no, tutto risulta aperto, accogliente, abbracciante. Esco, alla destra ci sono un paio di negozi che vendono figure e santini di ogni genere e più avanti, all’angolo, un bar friggeva delle preparazioni rotonde di cui, successivamente scoprii il nome, erano Buñuelos. Percorrevo il perimetro della piazza con gli occhi pieni di illusione e scoperta. Altri negozietti di abbigliamento, telefonia, un ristorante di pollo fritto, un forno, la sede del comune, una piccola cappella dove alcune persone stavano pregando. Decisi di sedermi ad un tavolino in legno scuro, posto sul marciapiedi, era un bar ma anche un forno ed un ristorante e da fuori avevo visto che accettavano anche pagamenti elettronici. Una grande vetrina mostrava alcuni prodotti da forno, così decisi di provare tre “palitos de queso” ed una infusione di frutti rossi. Il cameriere fu gentilissimo, nel giro di alcuni minuti mi portò l’ordine ed io, dopo aver mangiato uno dei palitos, buonissimo, iniziai a leggere un po’, mentre giravo, con il grande cucchiaino, l’infusione calda di frutta fresca e mentuccia.

Emanava un profumo delizioso, era un bel bicchiere di vetro, con un piccolo manico, dentro dell’acqua bollente alla quale erano stati aggiunte le more, i mirtilli, dei lamponi ed un paio di fogliettine di menta, lo rimuovevo e pensavo, alla bellezza della semplicità, all’incanto non ingannevole di una natura in linea con le persone e la vita, un paio di piccoli trattori richiamarono la mia attenzione, non erano dei trattori a dir la verità, erano come delle macchine uscite fuori dal mio immaginario degli anni sessanta o settanta. Avevano quattro ruote motrici, una cabina in ferro battuto verde bottiglia scuro e dietro, nello spazio vuoto vi erano dei sacchi color beige e una diminuita gru la quale, suppongo serviva per trainare o salire sacchi troppo pensanti di mercanzia. Restai imbambolato alcuni rilassanti minuti, continuai a leggere Pace, i racconti riguardanti l’estate ed io qui, vivendo, iniziando a vivere una eterna primavera. Non potevo che ringraziare la vita.

Il sole si nascose un paio di volte dietro le nuvole, vari storni felici svolazzarono sopra le palme, piccoli pappagallini formavano il loro nido. Alcuni contadini nelle lore roane e calosce masticavano commenti alcuni Buñuelos sorseggiando del buon caffè chiacchierando con i colleghi ed amici. Mi sentivo abbastanza osservato, a dirla tutta, quasi tutte le genti che passavano mi guardavano. “Chi sarà questo forestiero biondo, dalla barba incolta biondiccia? Che poi vestito da spiaggia? E che libro starà leggendo poi? E questi occhi azzurri? Sarà sicuramente un gringo o un tedesco o chissà, potrebbe anche essere argentino o francese eh eh!”. Probabilmente tutto ciò e molto più fluttuava nei loro occhi, attraverso la loro immaginazione, qualcuno mi sorrideva, altri ridevano, taluni si limitavano ad un’occhiata veloce. Non mi disturbava, è logico pensavo, sono un forestiero, in un paese di poco più di ventimila persone.

Pagai, ringraziai e mi avviai verso casa, il sonno incominciò a farsi sentire già ma, assolutamente no, non dovevo dormire fino alla notte altrimenti non avrei regolato queste lancette. Così chiamai a Sebas, e nel mentre scoprii il mercato rionale pieno di frutta e verdure che nella mia vita non avevo mai visto, ne descrissi alcune a Sebas, non avevo contanti così lo avrei aspettato per comprare le più buone insieme. Raggiunsi il fiumiciattolo che passava lungo La Ceja, la sua acqua era limpida e pulitissima, tutt’intorno si innalzano altissimi gambi di canne verdissimi. Persone in bici parcheggiavano vicino ad una sorta di centro sportivo, mi avvicinai, intravidi una piscina scoperta e riscaldata, abbastanza grande mi informai e l’acceso era abilitato a tutti, con un biglietto giornaliero di pochi centesimi, già stavo formando la mia routine, i miei luoghi in cui tornare, le mie tradizioni.

Dimenticai di pranzare, tra una camminata e l’altra s’erano già fatte le sedici. Il sole tenue della sera iniziò pian piano a calare, il portiere mi salutò mentre mi apriva il cancello, ero passato anche a fare un po’ di spesa per la settimana, salì, sistemai e mi sedetti sotto lo scrosciare dell’acqua della doccia. D’improvviso anche sulla mia finestra sul tetto incominciò a battere fortissima la pioggia, sembravo un torrente. Era così rilassante.

a cura di Michele Terralavoro

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Redazione StreetNews.it
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