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Coronavirus, “anticipo Cig da banche solo per 6 lavoratori su 100”

Una misura pensata per aiutare i lavoratori durante il Coronavirus si è inceppata tra burocrazia, ritardi bancari e promesse mancate. Numeri, storie e domande aperte sul sistema

La scena, all’inizio, sembra sempre la stessa: una crisi improvvisa, la quotidianità che si inceppa e le famiglie che cercano un appiglio per tirare avanti. Nel 2020, mentre il Paese provava a rimettersi in piedi in mezzo al caos del Coronavirus e lockdown, l’idea dell’anticipo della CIG appariva come una piccola ancora di salvezza.

Coronavirus, “anticipo Cig da banche solo per 6 lavoratori su 100” – streetnews.it

Una promessa semplice: le banche avrebbero dato un sostegno immediato ai lavoratori sospesi, in attesa dei tempi più lunghi dell’INPS. Sembrava una misura pratica, veloce, quasi ovvia. E invece, nella realtà, la storia ha preso una piega molto diversa.

I numeri non hanno bisogno di retorica. A maggio 2020, secondo la Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, solo sei lavoratori su cento erano riusciti a ottenere quel famoso anticipo. Una percentuale così bassa da lasciare spiazzati persino gli addetti ai lavori. Si parlava di moduli che cambiavano di continuo, di richieste aggiuntive non previste nella convenzione e di documenti come il modello SR41 che diventavano oggetti misteriosi da recuperare. La Cassa Integrazione Covid aveva già tempi complicati, ma l’anticipo bancario, che doveva essere un ponte, ha finito per somigliare a un altro ostacolo.

Molti consulenti raccontavano di pratiche rimaste sospese per settimane. Il flusso era chiaro: il datore di lavoro inviava la domanda, l’INPS doveva acquisire i dati, la banca attendeva la conferma… e ogni passaggio aggiungeva giorni. In certi casi si arrivava a contare cinquanta giorni lavorativi per sbloccare un importo di poche centinaia di euro. Nel frattempo, c’era chi aspettava di pagare l’affitto o chi faceva la spesa guardando il carrello con più attenzione del solito. Sono dettagli concreti, ma spiegano meglio di qualsiasi slogan cosa volesse dire, allora, dipendere da un bonifico che non arrivava mai.

Le banche e gli sportelli ribadivano la loro disponibilità, ma spiegavano che la procedura, per come era stata costruita, richiedeva verifiche precise. Un dipendente di uno sportello, in un’intervista rilasciata in quei giorni, diceva: «Non possiamo anticipare denaro senza un quadro completo della domanda». Una frase che, dal punto di vista tecnico, ha una sua logica. Ma per chi era in coda fuori dalla filiale, con la mascherina e la speranza di una risposta rapida, suonava come l’ennesima porta socchiusa.

Ciò che ha colpito di più, forse, è stato il divario tra annuncio pubblico e realtà. La misura era stata presentata come un aiuto immediato, ma la sua applicazione reale raccontava qualcosa di diverso: una macchina burocratica che, sotto stress, mostrava tutte le sue fragilità. Ed è proprio lì che emergeva il punto più delicato: l’emergenza non è mai solo sanitaria. È anche amministrativa, economica, sociale. E quando troppe parti del sistema rallentano insieme, chi resta in mezzo è sempre il cittadino.

A distanza di tempo, quell’esperienza lascia un interrogativo che non riguarda solo la pandemia. La domanda è se il Paese riesce davvero a trasformare una buona intenzione in un gesto concreto quando serve, senza che il percorso si complichi a tal punto da far perdere il senso della misura. Perché alla fine, dietro ogni dato sulla CIG, c’era qualcuno che aspettava una risposta semplice. E chissà se il sistema, oggi, sarebbe più pronto a darla, o se resterebbe di nuovo impigliato tra moduli, timbri e promesse da rincorrere.

Published by
Antonio Papa