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Carriera e stile di vita nel segno di Rossini: intervista esclusiva a Nicola Alaimo.

Il baritono sulla sua carriera, passando per gli incontri professionali che gli hanno cambiato la vita e l’amore incondizionato per il “Cigno di Pesaro”.

Nicola Alaimo è uno dei baritoni italiani più noti al mondo, grazie a una carriera belcantistica costellata specialmente di ruoli rossiniani. Degno erede di suo zio Simone, con il quale condivide la vocalità e il repertorio, dall’infanzia è circondato di musicisti e melomani: “zio Simone ha vinto il concorso ‘Maria Callas’ nel 1980, quando io avevo due anni. Già a quell’età quindi arrivavo a canticchiare ‘La Calunnia’ o la cavatina di Figaro (entrambe dal “Barbiere di Siviglia”, n.d.r.), crescendo a pane e Rossini. Lui è il compositore che ho cantato ad oggi di più dacché credo sia perfetto per la mia voce. Diciamo che per me Rossini è stato come un papà”.

Tra le 14 opere rossiniane debuttate da Nicola Alaimo sono due a folgorarlo sin dai primi giorni di studio: la “Cenerentola” e il “Guillaume Tell” (in versione francese): “la ‘Cenerentola’ è un’opera completa e ricca, della quale ho interpretato tutti i tre ruoli di basso, ma quello che mi piace di più è Dandini, per il quale ci sono delle pagine bellissime. Per quanto riguarda il ‘Guillaume’ io ebbi l’onere di cantarlo in francese a Parigi e il giorno dopo il giornale ‘le Figaro’ definì il mio francese perfetto”. Non solo opere folgoranti per il Maestro, ma anche personaggi che ricorda benissimo per la difficoltà tecnica e il lungo periodo di studio: “quello del Duca d’Ordow nel ‘Torvaldo e Dorliska’ (di Rossini, n.d.r.) credo sia un ruolo difficilissimo. Nel 2017 accettai la sfida di cantarlo a Pesaro”.

Ricordando l’ampio repertorio il Maestro riflette sul suo tipo di voce e sul metodo di studio da adottare per un ruolo:  “mi ritengo un baritono sia cantabile che brillante, che però sposta la sua attenzione sulla parola. Per me la dizione è fondamentale e di per sé va oltre la vocalità”.

“Prima di debuttare ‘Falstaff’ ho affrontato un periodo di studio di un anno e mezzo, stessa cosa per ‘Nabucco’ a Ginevra. Il tempo è il miglior amico di un cantante. Si tratta di una componente fondamentale che non deve mai mancare prima di ogni produzione”.

I ricordi di un giovane appassionato, figlio della sua Sicilia, sbarcato a Pesaro.

Il teatro del mio cuore è il Massimo di Palermo. All’epoca, però, quando cominciavo a frequentare era chiuso e così restò per 24 anni. Gli spettacoli si facevano al Politeama. Mia sorella Annarita è da trent’anni nel coro del Massimo, quindi io grazie a lei avevo l’abbonamento in prima fila. Davanti a me avevo direttori come Stefano Ranzani, Gianandrea Gavazzeni e cantanti come Giuseppe Giacomini e Mirella Freni. Nel 98’ il Massimo riaprì e io vinsi un’audizione che mi fece prendere parte alla produzione dell’’Aida’ andata in scena in occasione della riapertura della sala”.

Dal 2017 Nicola Alaimo è cittadino onorario di Pesaro, città dove peraltro risiede con la sua famiglia: “amo questa città e sono orgoglioso di essere ambasciatore della cultura pesarese nel mondo”. Il baritono inoltre riferisce alla nostra redazione una notizia in anteprima, vale a dire la sua partecipazione al Rossini Opera Festival 2024 nel ruolo di Gamberotto dell’”Equivoco stravagante”, che sarà anche il suo 15° debutto rossiniano in carriera. Dal 2010 sono già tredici le volte in cui il Maestro Alaimo è salito sul palcoscenico del ROF.

Il baritono ricorda il Maestro Alberto Zedda, pietra miliare della cultura rossiniana, suo mentore e direttore.

Lui ci ha sempre provato a convincermi di dargli del tu e a chiamarlo Alberto, ma io non ce la facevo. Fu il primo grande Maestro che nel 2000 mi disse che io avessi un talento, ma secondo lui non ero ancora pronto e avrei dovuto aspettare altri dieci anni. Rimasi un po’ spiazzato, ma puntualmente il Maestro nel 2010 mi chiamò per interpretare Dandini nella ‘Cenerentola’”. Zedda ha curato per anni le edizioni critiche di moltissime opere di Gioachino Rossini oltreché che prendere parte a moltissime produzioni del Festival, divenendo un patrimonio  vivente della cultura, direttore dell’Accademia Rossiniana, al quale oggi è intitolata.

Eravamo alle prove di uno ‘Stabat Mater’ (di Rossini, n.d.r.) per una tournée a Bilbao e San Sebastian. Il Maestro volle farmi interpretare la parte per basso ma io non me la sentivo, perché la partitura arriva a certe note che il mio diapason non raggiunge. Lui volle convincermi a tutti i costi, al punto da venire a trovarmi a casa mia per provare. Anche lì non andò così bene, ma mi resi conto che il Maestro Zedda fu felicissimo. Alla fine si arrese soltanto quando, a Bilbao, all’indomani della prima recita, a colazione, mi feci trovare senza un briciolo di voce, tanto era stato lo sforzo del giorno prima”.

Era davvero un esempio di dedizione e passione. Negli ultimi periodi lui fu molto riservato e la notizia della sua morte fu per me un fulmine a ciel sereno. È stato un innovatore, una colonna portante del ROF. La città di Pesaro dovrebbe intitolargli una piazza con tanto di statua. Ci manca, e anche tanto”.

La fine del racconto con la speranza di un vicino ritorno al San Carlo.

Da tempo Nicola Alaimo manca a Napoli e probabilmente non tornerà per i prossimi tre anni, vista la sua agenda abbastanza piena: “il mio debutto a Napoli fu come Escamillo (nella “Carmen” n.d.r.) e poi tornai come Dulcamara (nell’”Elisir d’amore” n.d.r.). Quella sala è la più bella del mondo, ci sono stato troppe poche volte e mi piacerebbe tornarci”.

intervista a cura di Giuseppe Scafuro

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