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QUANDO LARS VON TRIER FU BANDITO DAL FESTIVAL DI CANNES PER UNA BATTUTA SUI NAZISTI.

Ormai è quel periodo dell’anno. Quel momento tanto atteso della stagione cinematografica in cui attori, registi, produttori, giornalisti, addetti ai lavori e non, si riversano sul litorale della Costa Azzurra- tra eleganti frac & papillon e appariscenti abiti da sera- pronti a prendere parte a quella che viene considerata, a tutti gli effetti, la manifestazione cinematografica più importante d’Europa (insieme a Venezia e Berlino).

Giunta alla 76° edizione, il Festival di Cannes andrà in scena dal 16 al 27 maggio con un ricco programma di 131 film. Dal trittico italiano Moretti, Rohrwacher, Bellochio a grandi nomi internazionali come Wes Anderson, Ken Loach, Almodovar e Wim Wenders. Occhi puntati sul tanto atteso Killers of the Flower Moon di Martin Scorsese con Leonardo Di Caprio e Robert De Niro. Toccherà al vincitore dell’edizione passata, il regista svedese Ruben Ostlund, l’arduo compito di decretare chi avrà l’onore di ricevere l’ambita Palma D’Oro.

L’attesa per proiezioni ed ospiti si fa sempre più trepidante, sospesa tra la speranza di assistere a qualcosa di unico e il timore di fallimenti accertati o di polemiche che caratterizzano l’evento da sempre. Giusto per esemplificare; nel 2015 diverse donne vennero escluse dalla premiere di Carol di Todd Haynes colpevoli di indossare scarpe basse; oppure quando nel 2018 il direttore Frémaux vietò i selfie sul tappeto rosso definendoli “ridicoli” e “banali”. Per non parlare delle crescenti critiche per la mancanza di parità di genere nel concorso principale. Esempio: nel 2012 non c’era nessuna regista in concorso.

Eppure c’è un personaggio che quando si parla di polemiche e controversie – vuoi per i suoi film, vuoi per il suo modo di essere – è costantemente in prima linea: Lars Von Trier. Nato a Copenaghen in Danimarca nel 1956, si mette in luce già nel 1984 proprio al Festival di Cannes quando L’elemento del crimine, previo di un insuccesso in patria, riuscì ad ottenere un importante premio tecnico. Nel 1995, insieme al connazionale Thomas Vinterberg stila un decalogo di regole espresse in un manifesto che sarà alla base del Dogma95. Movimento creato appositamente per contrastare una certa tendenza del cinema commerciale dell’epoca. Nel 2000 la consacrazione: il suo Dancer in the Dark con protagonista Bjork, vinse la Palma D’Oro. Da quel momento in poi, un fiume in esondazione di film dall’indiscusso valore artistico ma anche e soprattutto dal forte sentore controverso:

-Nel 2003 il suo Dogville è stato bollato di antiamericanismo. Pratica frequente negli anni subito dopo l’11 settembre.

-Nel 2009 Antichrist sconvolse il pubblico con le sue immagini di sesso spinto e mutilazioni di genitali.

-Nel 2018 La casa di Jack, proiettato in esclusiva quell’anno a Cannes, fu accolto da un forte senso di indignazione per la presenza di scene di estrema violenza.

Eppure la sua presenza a Cannes 2018 e il forte dissenso del pubblico, era un qualcosa di prestabilito.

Per comprendere questo passaggio però, bisogna fare un passo indietro; precisamente a dodici anni fa, quando Von Trier era in concorso a Cannes 2011 con il film Melancholia che, rispetto ai film sopracitati, era apparentemente il meno scioccante, ma ad alimentare le polemiche ci pensò personalmente il regista danese:

durante la conferenza stampa, una giornalista inviata dal The Times di Londra, gli chiese di spiegare meglio la questione delle sue origini tedesche e del suo gusto per l’estetica nazista. Von Trier, spiegò che per anni aveva creduto di essere ebreo esattamente come suo padre, per poi scoprire che in realtà il suo padre biologico fosse un uomo di origini tedesche. A questo punto, anche se apparentemente non sembrasse, il regista optò per un registro ironico, fino ad arrivare alla fatale confessione:

“(…) Ho scoperto di essere nazista. Cosa posso dire? Capisco Hitler. Ha fatto molte cose sbagliate, ma me lo immagino seduto nel suo bunker…un po’ mi immedesimo.”

La sala stampa calò in un silenzio imbarazzante. L’attrice Kristen Dunst, protagonista del film, che si guarda attorno mostrando una finta indifferenza, fu il simbolo del disagio.

“Adoro l’architetto Speer, aveva un grande talento. (…)”

Continuò Von Trier, pensando di pararsi il fondoschiena parlando dell’arte dell’architetto personale del Fuhrer. Ma il danno era compiuto. Infatti dopo un po’ ammette con una risatina nervosa:

“Ok, sono nazista”.

Le conseguenze arrivarono poche ore dopo dal Festival di Cannes che battezzò Von Trier come ‘persona non grata’. Chiudendo qualsiasi rapporto con il danese. Claude Lelouch, successivamente, descrisse la vicenda come un vero e proprio ‘suicidio professionale’.

Negli anni ha provato a giustificare le sue parole etichettandole come semplice ironia. Qui di seguito un estratto dall’intervista su GQ:

“Non sono dispiaciuto, mi rammarico di non aver saputo chiarire che si trattava di uno scherzo. (…) Dire che mi dispiace per quello che ho detto vorrebbe dire che mi dispiace essere il tipo di persona che sono.”

Ma da Von Trier c’era da aspettarsi altro. E infatti la controrisposta alla sua messa in bando, arrivò nel 2014, quando presentò al Festival di Berlino il suo film Nymphomaniac. Non si presentò alla conferenza stampa, ma in compenso arrivò al photocall con una t-shirt del Festival francese con una scritta orgogliosamente (per noi) in italiano: ‘persona non grata’.

Non potremo mai sapere quale fu la reazione di Cannes a questa provocazione, come d’altronde non sapremo mai la motivazione che nel 2018, spinse il Festival a fare dietro front e ad invitare il regista di Copenaghen a far gareggiare il suo La Casa di Jack per la Palma D’Oro. Nonostante qualche mese prima Bjork avesse, anonimamente (ma si capisce), accusato il regista di averla molestata ripetutamente sul set del film Dancer in the Dark, in cui l’attrice islandese era protagonista.

“Gli artisti devono soffrire, il risultato è migliore!”

-Lars Von Trier

A cura di Domenico La Marca

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Redazione StreetNews.it
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