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Una nonna, un nonno e una nipote

Ho incontrato Clarissa quando aveva cinque anni, circa.

Una bambina adorabile, come lo sono i bambini, ma lei di più, forse, perché da poco tempo era morta la sua mamma.

Oggi Clarissa Cavallina, questo il suo nome e cognome, è una donna appagata; lavora molto, è una psicologa, a mio parere, straordinaria. È sposata con Felice, che come si potrà intuire, dal nome, è tutto un programma; ha in casa due pelosetti: un tenero cagnolone: Poldo e una gattona nera: Minù.

Clarissa è stata, per quanto sono a conoscenza, una nipote amatissima.

La nonna e il nonno dopo aver perso la loro adorata figlia, madre di Clarissa, hanno riversato su di lei tutto il loro amore. Un amore fatto di attenzioni, insegnamenti, libertà e molto altro.

Silvia e Italo, i nonni, erano due esseri umani speciali.

Clarissa viveva con il papà, che nel frattempo si era risposato, ma stare con i nonni era, per lei, come sentirsi a casa. E poco importava se quando camminava con il nonno tutti lo salutassero come se fossero suoi amici, del resto a volte camminare con Italo Moretti poteva essere faticoso, perché le persone gli chiedevano del suo ultimo reportage, della sua ultima inchiesta, che avevano visto in televisione, e qualcuno voleva un suo autografo; Clarissa era piccola e guardava, certamente, con stupore quegli eventi. Poi c’era la nonna, mitica, la libertà risiedeva in lei. Nonostante il dolore, per la morte di Anna, sua figlia, lei ballava, cantava, nel vero senso della parola, viveva. I mercoledì a casa loro erano indimenticabili: canzoni, letture, musica dal vivo, dialoghi, incontri. Una festa.

Silvia e Italo sono stati i nonni per eccellenza.

Dico bene Clarissa?

Sì, ognuno ha i suoi miti e per me i nonni sono stati i miei, dici bene.

Mi racconti un aneddoto che ti ricorda l’amore del nonno e della nonna?

La prima cosa che affiora nella mia mente è quando il nonno mi veniva a trovare al mare. Arrivava nella mattina, si presentava con la sua borsa e il giornale, io ero felicissima di vederlo. Incontrare quella sua sagoma alta: un uomo così alto, grosso, e così dolce; mi guardava con quegli occhi d’amore bellissimi. Ci divertivamo a fare il bagno insieme, lui nuotava in un modo buffissimo, faceva lo stile libero in una maniera un po’ strana, io lo prendevo in giro, lui rideva e si lasciava deridere.

Mi leggeva le favole prima di andare a dormire, sì, perché si fermava, per la notte.

Quando sono diventata un po’ più grande mi leggeva “Il razzismo spiegato a mia figlia”.

Ricordo che quando ero piccola morivo dalle risate con lui, mi faceva il mostro, inseguendomi, per tutta la casa, e io ridevo come una pazza.

Un’altra cosa che mi viene in mente, sul nonno, è che io e lui avevamo la passione per la cioccolata, comprava una crema al cioccolato che facevano i trappisti, buonissima, e quando era l’ora della merenda, io gli dicevo sempre: “Nonno, mettimene poca”, lui preparava delle fette biscottate con sopra una quantità di cioccolata incredibile. Era molto affettuoso, pieno di dolcezza e tenerezza. È stato un modello del maschile, così forte e dolce, che non ha avuto paura di mostrare anche le sue insicurezze, le sue difficoltà, quando sono cresciuta. Era molto materno, un nonno mamma. Tanto protettivo, ma sempre al posto suo.

Con la nonna c’era l’aspetto del divertimento, tutto si trasformava in un gioco, mi faceva fare le magie, e quando giocavo era una cosa seria, per lei il tempo dedicato al gioco è sempre stato sacrosanto, teneva tanto quanto me al gioco, si divertiva molto. È bello avere un adulto così coinvolto. Della nonna ricordo, anche i vestiti, i colori. Mi ha trattato come una bambina, ma soprattutto come una persona, mi ha sempre detto la verità. Mi ha dato molta sicurezza nelle mie capacità.

Entrambi mi hanno fatto sentire intelligente e capace, ho percepito costantemente la loro fiducia nei miei confronti, questo, forse, mi ha protetta di più e mi ha fatto essere sicura di poter agire nella mia vita.

Cosa ti manca di più del nonno e cosa della nonna?

Tantissime cose.

Del nonno mi manca la sicurezza che io avvertivo con la sua presenza, mi manca la sua voce, la sensazione di essere così importante, dirò delle cose banali, forse, ma io le ho vissute veramente queste cose e non saprei come dirlo altrimenti. Per nonno ho sempre sentito di essere molto speciale, mi manca quella connessione, di avere un interlocutore capace di capirmi come mi capiva lui. Quando gli parlavo si metteva sempre nei miei panni, cercando di darmi il suo punto di vista. Mi ha ascoltato tantissimo.

Tutti e due sono riusciti a espormi a tante cose belle, stimolanti, e che nella vita mi hanno interessato. Sicuramente, del nonno è la voce che mi manca di più. Infatti ogni tanto la riascolto, perché per fortuna la sua ce l’ho, della nonna anche ce l’ho, nelle sue canzoni. Di nonna, giocando con le parole, mi manca la sua mancanza di giudizio, le si poteva dire che avevi fatto o pensato qualsiasi cosa, che ti eri sentita in qualsiasi modo, per lei andava bene. Era come se avesse, un po’, vissuto già tutte le cose, le varie sfumature e quindi capiva, non si spaventava mai con niente. Aveva il coraggio di mangiarsela la vita, di fare quello che voleva, di essere come le andava. Ci vuole coraggio, a volte, per prendersi lo spazio, per farlo con gli altri, poi diceva quello che le pareva a lei, con la libertà di dirlo anche nei momenti scomodi. Ecco, in questo i nonni erano diversi, nonno te la diceva comunque la verità, però aveva una modalità diversa, era attento all’altro, anche al momento, al timing, mentre alla nonna non gliene importava nulla. A volte mi ha detto delle cose, che mi hanno sconvolta, lì per lì, in modo molto esplicito, facendomi anche del bene, una vera e propria verità spiattellata, tanto da indurmi a pensare: “E ora cosa ci faccio con questa cosa? Non me l’aspettavo!”.

Che bambina sei stata? Tenendo conto, del fatto, che a un certo punto non hai più visto la tua mamma?

Sono stata, un po’, una bambina del prima e del dopo.

Prima, intendo, quando non avevo ancora vissuto la morte così da vicino, quindi la trasformazione, la malattia, della persona più importante, vicina a me.

Mi hanno raccontato che ero una bambina molto energica, tanto simpatica, buffa. Mi piaceva giocare.

Ricordo che dopo la morte di mamma la mia vita è cambiata in tanti modi, anche un po’ la cultura familiare, io poi mi sono inserita in un’altra famiglia, sono diventata molto più introversa, e la mia estroversione era più difficile da contattare, ma quando veniva contattata emergeva, si vedeva che era stata mantenuta quella parte più esuberante, ossia il carattere forte, con la voglia di giocare e altro, però mi ricordo di essere stata anche una bambina silenziosa, sensibile e timida. Sì, avevo sviluppato un po’ questa parte, oltre quell’altra.

Come è stato il tuo rapporto con i nonni dopo quel dolore?

Il mio rapporto con i nonni mi ha permesso di mantenere sempre un gancio con quella parte precedente. È stato quel filo rosso che ha mantenuto il lato con il materno e con quella parte di me. Sai quando sei così piccola, e vivi un lutto del genere, ti senti morire anche tu.

Sentivo, anch’io, di averla un po’ persa quella parte, invece, il legame con i nonni mi ha dato la possibilità di mantenerla in vita. È stato fondamentale. È continuato e forse si è rafforzato.

Sono stati, per me come dei genitori, importantissimi, un porto sicuro, da cui uno poi può esplorare.

Che donna sei diventata?

Mi porto dentro la bambina che sono stata.

Sono una donna che ha curato molto le sue ferite, ho investito tanto su questo, mi sono presa il mio tempo, per curarle, e ancora lo faccio, quando ne ho bisogno. Ho impiegato molto, per rimettere in ordine i pezzetti della mia storia, per fare chiarezza, affinché vi fosse l’incontro, tra tutte queste parti di me: una parte con una famiglia, una parte con un’altra famiglia, una mamma, poi un’altra mamma, mio padre poi si è risposato, quindi c’era un’altra donna che comunque ha passato moltissimo tempo con me. Questa complessità non è stata semplice da tenere insieme, e quindi rispettare ogni parte di me, non è stato facile vedere l’unicità di tutti questi pezzetti, e che comunque sono unica.

Credo sia indispensabile conoscere sé stessi.

Questo lavoro che ho fatto su di me ha un particolare valore, per la professione che svolgo con grande passione: la psicologa.

Penso di essere una donna sensibile, molto rispettosa della vita delle persone.

Poi, mi piace stare con i miei animali, andare in montagna e al lago.

Nel tuo lavoro, di psicologa, ti sei occupata molto di bambini!

Mi sono occupata di bambini che hanno vissuto il maltrattamento, che si sono ritrovati in situazioni di alta conflittualità tra i genitori, oppure, che sono stati abusati, bambini che hanno vissuto traumi importanti. Diciamo che, per parlare di un bambino bisogna, anche, parlare un po’ della famiglia, e nella mia esperienza il lavoro è stato con tutta la famiglia, perché, per prendersi cura di un bambino è essenziale prendersi cura degli adulti che sono vicini a lui o a lei; capire se vi sono delle risorse, e se non si trovano, negli adulti di riferimento, cercarne altre, per il bambino è fondamentale avere una rete, un posto sicuro.

Per me è stato rilevante comprendere che l’intervento riguarda più persone, quando si riesce a fare. In alcuni casi si lavora con adulti che, magari da bambini, non hanno avuto questa opportunità, perciò si lavora con il bambino che c’è nell’adulto, con le risorse e le ferite presenti.

Quando ci sono questi vissuti traumatici, forti, è indispensabile essere accompagnati, perché, per elaborare queste cose, a volte è necessario buttarsi nel dolore, e per farlo è opportuno sentire, se ci si deve buttare, per arrivare dall’altro lato, e se in mezzo c’è un fiume, di avere una carreggiata, una corsia, un salvagente, pertanto lavorare molto sugli strumenti che possono esserci, perché sono vissuti che fanno molta paura.

I bambini sono meravigliosi, sono adulti i bambini, capiscono, a volte hanno meno strumenti, per rendersi conto esattamente di quello che gli è successo, ma se sono supportati, guidati, se hanno le informazioni, i bambini capiscono tutto e hanno il diritto di sapere la verità, anche quando è molto dura, altrimenti sviluppano delle immagini, caso mai, negative su loro stessi, nella confusione.

La prima cosa da proteggere è la loro immagine, la loro identità, con la verità.

A cura di Maria Grazia Grilli

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