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“La Porta del Paradiso” di Alfredo Colitto: storia e avventura tra la Napoli e il Messico del ‘600

Napoli, 1637. Il notaio Giorgio Terrasecca riduce sul lastrico la nobile famiglia dei Baiamonte, che, schiacciata dai debiti, è costretta a cedergli il proprio lussuoso palazzo. Il rampollo ventitreenne Leone uccide per legittima difesa il figlio del notaio; ricercato dalla giustizia, decide di partire alla volta del Messico per rilevare una miniera d’argento scoperta dallo zio missionario Mariano, venendo in questo modo in soccorso della propria famiglia. Durante il viaggio, intreccia una relazione con Socorro, moglie di don Porfirio, destinata a non durare a lungo.
Intanto a Napoli Lisa sposa il gabelliere Antonio Mazzella che accetta di diventare padre di Tonino – il figlio che ella ha avuto da Leone – in cambio di una ricca dote. Terrasecca, assetato di vendetta e facendo leva sulle difficoltà economiche in cui versano i Baiamonte, obbliga Concetta, sorella di Leone, a prostituirsi; inoltre, appresa la notizia che Leone è fuggito in Messico, dà ordine al suo servitore di raggiungerlo e ucciderlo.

Si affastellano di seguito numerose azioni che complicano l’intreccio: Leone si innamora dell’indigena Estrella (dalla quale ha una figlia, Marimar); Concetta tenta invano di uccidere il notaio; un oscuro segreto avvolge la vita privata di Matilde, madre di Leone e Concetta, che condurrà la donna ad un gesto estremo.
Dopo l’ennesima disavventura, Leone, insieme a Marimar, ritorna a Napoli. Durante la rivolta di Masaniello (luglio 1647), egli salva Lisa e il figlio Tonino dal linciaggio della folla. Il notaio invece, dopo essere stato ferito dal nobile Baiamonte, cade per mano di Concetta, la quale continuerà ad ignorare che un inconfessato legame la unisce a quell’uomo.

Il romanzo di Alfredo Colitto (Piemme 2013, 462 pp.), suddiviso in 37 capitoli preceduti da un prologo e chiusi da un epilogo, si inserisce all’interno di un genere letterario “misto”, a metà tra il Bildungsroman, il romanzo di avventura e il romanzo storico. Il lettore, appassionandosi all’intreccio, segue con il fiato sospeso le rocambolesche (dis)avventure di Leone, dall’esito imprevedibile e mai scontato, che accompagneranno il protagonista in un vero e proprio percorso di formazione. Un percorso catartico che lo porterà a vincere resistenze e paure (come quella dell’acqua), fino a varcare una fatidica soglia, la Porta del Paradiso, che di fatto segnerà l’inizio di una fase nuova della sua esistenza, successiva alle tre in cui si snoda il romanzo (la fuga, la miniera, il ritorno).

Il senso di suspense, insieme ad una sequenzialità cronologica interrotta da flashback chiarificatori e da qualche flashforward (le anticipazioni profetiche del nonno di Estrella, una sorta di santone-sciamano), mantiene sempre viva la tensione narrativa come in un classico romanzo di avventura ottocentesco (ma non è difficile riconoscere anche echi manzoniani, come nella rappresentazione della folla in rivolta): esso è in certo senso alimentato dalla particolare struttura del racconto che segue in forma alternata le vicende che si svolgono contestualmente in Messico – dove Leone si è trasferito in cerca di fortuna – e a Napoli, dove la famiglia del giovane continua a vivere di stenti, fino al suo risolutivo nostos.

E se Leone campeggia sulla scena come una presenza imprescindibile (anche quando è concretamente assente) e principale motore dell’azione, assai ben delineati sono pure tutti gli altri personaggi che intervengono a vario titolo nella vicenda: dal padre Angelo, immerso nelle sue letture di astronomia che lo isolano dalla realtà, alla madre Matilde, incapace di chiudere i conti con un passato colpevole; dal notaio Terrasecca, il cui amore mai sopito per Matilde si tramuta in uno spietato desiderio di rivalsa, a Concetta che sembrerebbe aver geneticamente ereditato dal vero padre un carattere irruento e vendicativo; dall’ingenuo don Porfirio, manipolato dall’astuta e perfida moglie Socorro, alla fragile Estrella, consapevole vittima di un amore sbagliato che la allontana da Leone e dalla vita; da Mariano, costretto a tradire il nipote, alla vulnerabile Lisa, che, sfumate le speranze del matrimonio della sua vita, è sottoposta alle umiliazioni di un marito che pure ella tenta di difendere in punto di morte.

Ultima importante componente del romanzo è quella storica: personaggi e luoghi immaginari (come il villaggio di El Durazno), eppure verosimili, convivono con personaggi storici (Masaniello e Giulio Genoino) e con luoghi storici (la Napoli del ’600, i cui quartieri anche meno noti sono scandagliati da cima a fondo). Non si può in questo senso trascurare anche l’attenzione particolareggiata ai costumi della Napoli del tempo o, sull’altro versante, alle tradizioni degli indigeni d’America, frutto di una accurata ricerca compiuta dall’autore sul campo.
Ingredienti questi che rendono il romanzo di Alfredo Colitto – uno dei pochi scrittori italiani che ha visto i propri libri tradotti in 7 lingue e pubblicati all’estero con un buon riscontro di pubblico (basti citare il thriller storico “Cuore di Ferro”, diventato bestseller in Gran Bretagna con il titolo di “Inquisition”) – non solo avvincente ma al contempo di indubbio interesse per il lettore.

Massimiliano Longobardo

Immagine in evidenza: Micco Spadaro, Punizione dei ladri ai tempi di Masaniello, 1647 circa (Museo Nazionale di San Martino, Napoli).

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Massimiliano Longobardo
Massimiliano Longobardo
Giornalista pubblicista iscritto all'ODG Campania, è dottore di ricerca in filologia classica e insegnante di latino e greco, nonché atleta master di nuoto per salvamento. Settori di interesse: territorio flegreo, teatro, scuola e istruzione, nuoto e discipline acquatiche.
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