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“E PER QUANTA STRADA ANCORA C’È DA FARE…AMERAI IL FINALE”

“Vita di Pi” è l’ultimo film del talentuosissimo regista Ang Lee, vincitore di 5 Premi Oscar, tratto dall’omonimo libro dello scrittore canadese: Yann Martell.
Una pellicola emozionante e commovente, una gioia, soprattutto per gli occhi, ma, anche, un racconto che tocca temi profondi come la religione, la famiglia, il valore dell’amicizia e l’innata capacità dell’uomo di conservare la speranza e la fede, in sé stesso o in qualcosa di più “elevato”. La storia raccontata ha dell’incredibile.

Il protagonista della pellicola racconta le origini del suo strano nome e le ancor più curiose circostanze della sua nascita, della scoperta delle religioni e dell’amore ad uno stupefatto scrittore in crisi d’ispirazione.
Tutto questo, però, non è che un preludio al vero cuore del suo racconto, costituito dalla descrizione del naufragio che portò il giovano ragazzo a vivere, per ben 227 giorni, a bordo di una piccola scialuppa.
Quest’ultimo aveva la sola compagnia di quattro degli animali dello zoo di famiglia, sopravvissuti tra quelli con cui stava viaggiando: una iena, una zebra, un orango e la temibile tigre: Richard Parker.
Il registra Ang Lee si riconferma un maestro nel raccontare attraverso le immagini; è un artista, più che un semplice regista. Ogni sequenza della Vita di Pi è, infatti, un capolavoro di equilibrio, colori, movimento.
Partiamo dalla terribile, caotica e, quasi insostenibile, scena del naufragio, all’oceano illuminato di luci fluorescenti, al tramonto che si riflette sull’acqua, finché cielo e mare non paiono una cosa sola, fino alle visioni sottomarine di Pi.
Immagini potenti ed emblematiche, in grado di racchiudere una gamma incredibile di emozioni e simbologie.
La grande abbondanza di effetti speciali, consentita dall’imponente budget di 120 milioni di dollari per essi utilizzati, viene messa, per una volta, al servizio di una Natura rappresentata in tutta la sua grandiosità, in tutto il suo splendore e la sua pericolosità.
Ma “Vita di Pi” non è fatto solo di splendide immagini, ovviamente.
Pi, in fin dei conti, è l’ uomo “ideale”; Egli racchiude in sé gli aspetti più universali del genere umano ed è per questo che possiamo, tranquillamente, identificarci con lui. Nonostante sia dotato di grande intelligenza egli riesce a sopravvivere soprattutto grazie alla curiosità, alla sete di conoscenza, alla speranza ed alla segreta convinzione di essere “unico” e, quindi, guardato e protetto da Dio/dagli Dei.
La zattera, la tigre, l’oceano sconfinato e la misteriosa isola, che nasconde la morte e l’oblio, non sono altro che simboli delle difficoltà, spesso insormontabili, che, molto prosaicamente, siamo costretti ad affrontare ogni giorno, illudendoci di poter magari essere gli eletti che riusciranno a sopravvivere o addirittura a conquistare l’amicizia di una tigre, giungendo fino a cambiarne la natura.
La storia di Pi potrebbe essere vera o, potrebbe essere la poetica fantasia di un ragazzino che ha vissuto un’esperienza traumatizzante ed ancor più orribile.
Il film, infatti, può essere interpretato su più livelli.
Ad un impatto più superficiale, può esser visto come la classica storia di avventura e sopravvivenza, in cui impera l’amicizia uomo-animale, una storia di formazione e di crescita, alla Robinson Crusoe.
Ad una lettura più profonda la metafora del naufragio e del, successivo, lungo viaggio per mare, potrebbero nient’altro che esprimere il difficile passaggio dal mondo dell’infanzia a quello dell’età adulta, impersonato dalla figura di Pi, ragazzo curioso, alla scoperta del mondo.
Ma, una diversa versione, molto più scettica, che si può desumere, della storia, è sconvolgente e ci lascia attoniti. Ci fa riflettere sugli abissi della natura umana, sui confini inesplorati, o mai indagati

fino in fondo, dell’animo dell’individuo, che emergono, però, ferocemente, quando si pone per lui l’importante questione della sopravvivenza.
Il film, dunque, ci lascia con molti interrogativi: gli animali che accompagnano Pi hanno un’anima oppure no? Quanto dell’animale c’è nell’uomo e viceversa? C’è un disegno divino? C’è la possibilità di inserirsi in questo quadro superiore in modo armonioso e salvifico?

Il finale ci porta a domandarci cosa sia realmente accaduto nel corso dell’avventura del giovane Pi. All’epilogo, però, ognuno di noi può dare una propria risposta, in quanto si può avere fede, o non avere fede in Dio, credere, o non credere, ai miracoli, ma l’importante, alla fine, è solo quello che consente al singolo di sopravvivere e di continuare a sperare.

Giulia Petillo

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Redazione StreetNews.it
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