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UNA FOLLIA SOCIALMENTE ACCETTATA

“HER”, pellicola vincitrice dell’Oscar per la miglior sceneggiatura originale nel 2014, è un film, scritto e diretto da Spike Jonze, che ci offre, non proprio, la classica storia d’amore.
Ci troviamo in un prossimo futuro, in cui la tecnologia si è affinata al punto da prevaricare l’intelligenza umana e dove, alla compagnia di un proprio simile, diviene preferibile quella di un OS (Operative System), una sorta di assistente vocale in grado di interagire con la stessa, se non con una superiore, sensibilità di un vero individuo.

Il protagonista è Theodore, interpretato magistralmente da Joaquin Phoenix, uno scrittore, che ha un
lavoro un po’ particolare, in quanto egli stende lettere, su richiesta.
I suoi committenti, sempre gli stessi, sono uomini e donne, a lui sconosciuti come, peraltro, i destinatari del suo lavoro.
Questa ripetitività crea in Theodor l’illusione di un vero legame con tali anonime persone da lui sempre immortalate nella versione migliore di loro stessi.
Il protagonista vive in un mondo nel quale gli individui sono oramai incapaci di comunicare direttamente, anche con chi hanno di più caro, e si affidano ad altri per esprimere e far filtrare all’esterno le più semplici emozioni e i più basilari stati d’animo.
Ma, in realtà, pian piano, scopriamo che anche lo stesso Theodore, che per lavoro esprime nei suoi scritti le emozioni, non si permette, poi, di viverle personalmente.
Il protagonista, infatti, non riesce a darsi pace dopo la fine del suo matrimonio con la sua compagna di vita: Catherine. Il suo divorzio è stato proprio causato dall’incapacità di Theodore di sopportare le fluttuazioni emotive, tendenzialmente di tipo depressivo, di sua moglie.
I sentimenti ed i confitti nella sua esperienza matrimoniale sono stati e continuano ad esser per lui troppo vividi e, per evitare il confronto col passato, egli preferisce rinunciare all’amore.
Evita, per poter vivere, ciò che, di fatto, per lui, potrebbe avere il massimo valore.
L’imperativo di Theodore è, infatti, cancellare ciò che dà fastidio e disturba.
Il ‘delete’ informatico accentua particolarmente questo elemento della personalità del protagonista.
Anche questo è un tratto tipico di Theodore: rimuovere, allontanare, cancellare. L’unico problema è che non può eliminare un’esistenza vera, fatta di ricordi e situazioni emotive autentiche, come quelle vissute con la moglie. In questo caso il ‘delete’ non funziona.
Il nostro romantico compositore di lettere su richiesta si porta dietro il dolore di un matrimonio fallimentare e la solitudine della sua vita dopo la separazione.
La sua esistenza è come un limbo in cui egli si divide tra lavoro e passatempi solitari in una patetica asocialità. Il tempo passa tra noia, ricordi, rimpianti e tentativi di colmare quell’enorme vuoto che si porta dentro.
Tutto ciò fino a che un giorno la sua attenzione non viene attratta da una nuova tecnologia: una specie di intelligenza artificiale, Samantha (che prende la voce di Scarlett Johansson) di cui il protagonista si innamorerà.
Il film “HER” , infatti, mette in scena, per l’appunto, quella “follia socialmente accettata” che è l’amore. Theodore le insegna cosa significa essere umani, Samantha apprende e non appena possibile si libera dei limiti di quella umanità, per tornare nel mare della conoscenza infinita, delle altre coscienze digitali, dalle discussioni senza confini e senza limiti.
Essa si libera delle dolci catene dell’amore dopo aver provato le uniche e inebrianti gioie dell’innamoramento.
Per questo “HER” è un film profondamente pessimista, che vede il più grande sentimento umano: l’amore come un concatenarsi di continue costrizioni ed invenzioni necessarie perché esso possa funzionare, fino al suo inevitabile epilogo.
E l’essere umano viene rappresentato come nient’altro che l’obsoleta e insopportabile rappresentazione della finitezza.
Questo film sembra preannunciare anche quello che sarà il nostro, non troppo lontano, futuro.
Passa dopo passo andiamo tutti verso un mondo in cui sempre più forte e diffusa è l’incapacità di far fronte ai cambiamenti e alle imperfezioni dell’altro, un mondo che mira sempre di più al disimpegno, che non sopporta ed evita il sacrificio.

Un cambiamento indotto, soprattutto, dal sopravvento della tecnologia, sempre più in grado di sostituirsi agli esseri umani, semplificando loro la vita e le relazioni sociali, supportandoli in maniera, all’apparenza, innocua ma, in realtà, invadente e irreversibile.
Una via subdola e silenziosa che allontana sempre di più gli esseri umani dalla capacità di stare dentro a una relazione autentica, fatta di compromessi, battute d’arresto e momenti di inevitabile infelicità, laddove l’altro non può rispecchiare costantemente i bisogni e le aspettative che ciascuno ha.

“HER” solleva, inoltre, interrogativi inquietanti: Siamo talmente bisognosi di ascolto da farci andar bene una qualsiasi voce artificiale? O, questa è una strategia, studiata a tavolino, per metterci al riparo dai rischi ineliminabili di una relazione vera? E chi ha studiato questa voce non sfrutta la nostra solitudine per manipolare la nostra esistenza?

Giulia Petillo

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Redazione StreetNews.it
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