Simone Vignola

Look casual: jeans, tshirt e camicie colorate ’90 style. Poi, l’immancabile berretto. Simone Vignola è come il suo abbigliamento: semplice e diretto, anche in musica. Irpino, polistrumentista, classe ‘87. Ci sa fare particolarmente col basso: ha esordito con gli Inseedia, poi nel 2008 ha iniziato la carriera da solista, che lo ha portato immediatamente alla vittoria dell’Euro bass contest. Lavoro e successi: Euro bass day, Arezzo wave e, nel frattempo, l’EP Love song, l’album Going to next level e il Live-solo-set.

In queste settimane è impegnato nel lancio del nuovo lavoro, Not the last, il singolo che succede all’EP Oltrepop.

Oltrepop e Not the last: il primo in italiano, il secondo in inglese. Che progetti hai per i prossimi mesi?

L’obiettivo è sfornare più musica possibile. E’ cambiata la fruizione della musica, non possiamo ignorare l’importanza delle piattaforme streaming e dei social; ci ho messo tempo per cambiare la mia prospettiva e mi rendo sempre più conto che oggi per un artista è fondamentale essere attivo. Ho investito tantissimo tempo nel miglioramento delle mie skills a livello compositivo e tecnico: penso di essere pronto per un discorso più duraturo ed ampio, internazionale. Intendo pubblicare un singolo al mese: ad Aprile “Not the Last”, a maggio “Tunnels and Streets”. Dal 2016, l’anno di “Mi sento meglio”, ho prodotto solo musica in Italiano ma non ho mai smesso di comporne in inglese. “OltrePop”, uscito per CDF Records con cui ho un fantastico rapporto, rappresenta il punto d’arrivo del mio songwriting in Italiano; è un EP a cui tengo molto e che, pian piano, si sta facendo strada.

Quanto rimane del Simone che suonava negli Inseedia e quanto si è evoluto l’artista One man band?

Mi è rimasto sicuramente l’approccio alla forma-canzone pop/rock, cercare di essere diretto e di arrivare all’anima. Questo modo di fare musica si è poi miscelato alla ricerca dell’estetica strumentale, il virtuosismo. Il mio progetto si è da subito distinto per l’aspetto self-made sia dal vivo che in studio; ho sperimentato ed esplorato anche il mondo delle formazioni in band, da questo punto di vista è stato un andare avanti che, ad oggi, mi ha riportato al punto di partenza. Vorrei, nel futuro, riuscire a registrare un disco live completamente in One-Man-Band. Ma tempo al tempo.

Hai realizzato diversi album in un lasso di tempo abbastanza ridotto: quale potrebbe essere il tuo preferito? Galileo è stata all’altezza delle tue aspettative? E dai progetti attuali, cosa ti aspetti?

Il mio album d’esordio “Going to the Next Level” è stato apprezzato a livello mondiale con tre edizioni, tra cui la ambitissima “Japan Edition” e sicuramente sono molto legato a questo lavoro. Un album che mi piace molto è “Somewhere” che invece non ha avuto un’adeguata promozione discografica. Come disco in Italiano credo che “Vivere e basta” sia molto interessante. Con “Galileo”, che vanta numeri notevoli su YouTube, si pensava di ritagliare uno spazio world-fusion in Italiano ma evidentemente i grandi network sono poco interessati a forme di musica che non si rifanno alle mode del momento. Il brano è stato anche scartato a Sanremo Giovani; diciamo che è, ahimè, l’ambiente musicale in Italia che non è stato (e diventa sempre meno) all’altezza delle mie aspettative: le proposte musicali sono migliaia a settimana, sembra ci sia un vero e proprio business dove l’artista è il cliente del produttore/discografico/agenzia di turno. I nuovi singoli rappresentano un ritorno al mio stile e ciò che mi aspetto è di soddisfare maggiormente il mio pubblico, musicalmente selettivo, e ha voglia di ascoltare qualcosa di più azzardato anche se nei termini pop.

Ti piace molto sperimentare l’elettronica del loop, combinandola al basso: tipicità del blues e del rock oppure vuoi azzardare un nuovo genere?

Il mio obiettivo è sempre stato quello di fare musica semplice, riferibile al pop/rock come al funk, riservando uno spazio primario al basso elettrico. Io lo definisco “pop virtuoso”. Nulla di nuovo, se pensiamo a Justin King, John Mayer, Level 42… E’ un modo di fare musica che sconfina spesso nella world-fusion e necessita di un approccio aperto per essere apprezzato. Adoperare spesso drum-machines (anche per motivi di live-looping) ha certamente influenza sul mio sound; mi piacciono molto le sonorità dei Planet Funk e anche del genere French Touch: questo a volte mi porta anche verso la House.

Di Clemente Scafuro