Ieri sera, al suo esordio, lo spettacolo di Peppe Miale sulla violenza del Potere, con otto attori sulla zattera.
Nella cornice incantevole delle Stufe di Nerone, nei pressi del lago di Lucrino, nell’ambito della rassegna del TEATROallaDERIVA, caratterizzata da sempre dalla formula di una performance recitativa concentrata su una zattera galleggiante al centro di un laghetto, ha debuttato, ieri sera, domenica 10 luglio, per la regia di Peppe Miale, L’urlo di Jimmy, liberamente tratto da Party time di Harold Pinter, premio Nobel per la letteratura nel 2005. Sulla zattera ben otto interpreti della compagnia Nouveau Théatre De Poche: Niamh McCann, Flavio D’Andrea, Irene Latronico, Giancarlo Lobasso, Gennaro Madonna, Chiara Malvano, Mario Russo e Laura Zaccaria.
Una plausibile società dell’oggi o forse di un futuro prossimo impone un’attenzione spasmodica verso tutto ciò che è vanesio, fatuo e superfluo. Sei personaggi si sono letteralmente impelagati tra i fasti di una festa chic a parlare di quisquilie e a vantare prodezze di dubbio gusto, inebetiti dalla manipolazione del Sistema, dimentichi e volutamente ignari dei danni che un potere pervasivo e violento sta perpetrando. Tutti gli sforzi si concentrano sul tentativo di affiliare al loro club Gavin, che proprio di quel potere è un eminente rappresentante. L’unico che ha avuto l’ardire di ribellarsi è Jimmy, ma il suo destino, proprio per questo, è stato drammaticamente segnato. Eppure, se altri cercano di distogliere l’attenzione da lui e censurarne ogni riferimento (esclusa Dusty che si chiede insistentemente che fine abbia fatto), questo non basterà a renderli immuni dalla stessa sorte che prima o poi – molto più prima che poi – si abbatterà su di loro, colpevoli, quali sono, di non aver aperto gli occhi in tempo. «Quando storicamente si vivono momenti di dittatura», sottolinea il regista, «momenti in cui la violenza incombe sulla società, immaginare di esserne immuni è esercizio di ingenuità e inconsapevolezza, non privo di colpevolezza». Anche se lo spettatore rimane alquanto spiazzato di fronte a un testo che non è strutturato, come si aspetterebbe, con un intreccio che renda riconoscibile il filo logico e cronologico della storia, ma che è basato piuttosto su sequenze in successione pur convergenti verso il Leitmotiv, indubbiamente, al contempo, egli è colpito dalla bravura degli otto interpreti – il numero più alto che si sia mai avuto sulla zattera –, che, nello spazio limitato di una pedana per di più galleggiante e non del tutto stabile, hanno saputo ben recitare, agire e interagire, e persino ballare, invasati dall’incursione martellante di musica dance e contemporanea (non manca neppure il pezzo recentissimo di Rhove, Shakerando). E soprattutto hanno saputo enfatizzare il malessere di una società passiva e incapace di reagire agli abusi di potere. Lo spettacolo è valorizzato dai giochi di luce di Vincenzo Langellotti e dagli splendidi costumi di Fabiana Amato. Terzo appuntamento della rassegna è per domenica 17 luglio, con il Don Giovanni di Molière, per la regia di Mario Autore.
Massimiliano Longobardo
Foto: Nina Borrelli. Per l’intervista a Giovanni Meola, direttore artistico della rassegna, da lui ideata insieme ad Ernesto Colutta, cliccare: qui.
