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Quel tanto amato-odiato Achille Lauro

Qualche lettore potrebbe essere strato tratto in inganno dal titolo, pensando di essersi imbattuto in un articolo sul noto cantante Achille Lauro. Forse non tutti sanno che l’interprete di “Rolls Royce” ha ricavato il suo pseudonimo dall’armatore partenopeo, che ha di fatto rappresentato un lungo capitolo della storia di Napoli. Nel corso della sua esistenza quasi secolare – morì a 95 anni compiuti –, Achille Lauro percorse tutte le tappe cruciali della storia napoletana, e non solo, del XX secolo, imponendosi sulla scena come leader tanto contestato quanto carismatico. Classe 1887, è stato considerato da alcuni un antesignano di Silvio Berlusconi, perché fu imprenditore, presidente di una squadra di calcio – ovviamente il Napoli –, uomo politico, editore del quotidiano Roma e proprietario della prima emittente televisiva del Mezzogiorno a trasmettere via etere, Canale 21. E naturalmente perché fu amato e odiato al tempo stesso.

Figlio di un armatore, fondò la Flotta Lauro, una delle più potenti flotte del Mediterraneo di tutti i tempi, almeno fino al crac finanziario avvenuto agli inizi degli anni ’80. La sua instancabile attività e la sua autorevolezza gli valsero l’appellativo di “Comandante”. Come presidente del Napoli, mobilitando le sue ingenti risorse economiche, promosse l’ingaggio di grandi campioni del calibro di Jeppson e Vinicio negli anni ’50. Come uomo politico, fu sindaco di Napoli negli anni ’50 e agli inizi degli anni ’60, contribuì alla nascita del Partito Nazionale Monarchico (da una cui scissione si generò nel 1954 il Partito Monarchico Popolare, confluito in seguito nel Partito Democratico Italiano di Unità Monarchica). Militò poi negli anni ’70 nel Movimento Sociale Italiano – Destra Nazionale, diventando componente della Commissione Trasporti.

Era demonizzato e ferocemente attaccato da quanti erano distanti dalla sua visione politica e dagli avversari, i quali lo accusavano di essere responsabile del deficit del bilancio comunaledella speculazione edilizia (il cosiddetto “sacco”), delle assunzioni “discrezionali” di parenti di ex dipendenti comunali, di favoritismi vari.

Tuttavia una ricostruzione storicamente obiettiva del suo operato dovrebbe innanzitutto basarsi su una netta distinzione tra ciò che rientra nel mito del laurismo e l’effettiva realtà dei fatti. Achille della Ragione, in un lavoro dedicato alla figura del Comandante (“Achille Lauro superstar: la vita, l’impero, la leggenda”), pubblicato nel 2003, ha raccolto una serie di dati documentari che dimostrerebbero come la responsabilità del sacco edilizio (denunciato anche da Francesco Rosi in un film del 1963, “Le mani sulla città”) andrebbe imputata piuttosto ai commissari prefettizi inviati in tempi diversi dal Governo centrale ad amministrare la città.

Quanto al voto di scambio, la nota storia delle scarpe spaiate (una consegnata all’elettore prima del voto, l’altra dopo) o delle banconote tagliate a metà non sarebbe altro che una vera e propria leggenda metropolitana abilmente architettata dalla propaganda antagonista, stando a quanto ci rivela la nipote Donatella Dufour (figlia di Laura Lauro, a sua volta figlia di Achille), che abbiamo incontrato per conoscere meglio alcuni aspetti della controversa personalità del Comandante. D’altronde la consuetudine di donare gli altrettanto famosi pacchi di pasta alle famiglie bisognose fu mantenuta anche lontano dalle consultazioni elettorali, persino quando l’impero finanziario di Lauro, faticosamente costruito, volgeva al tramonto. Lauro stesso soleva ripetere che, mentre gli altri politici regalavano promesse che puntualmente disattendevano, lui almeno non faceva mai mancare beni di prima necessità.

Che fosse un personaggio politicamente scomodo è evidente: basti citare un episodio apparentemente marginale, che ha come protagonista addirittura Totò. Nel 1958, ospite della trasmissione televisiva “Il Musichiere”, condotta da Mario Riva, il celebre attore, in preda ad un improvviso entusiasmo, si lasciò sfuggire la frase: «Viva Lauro!», esclamazione che fu motivo del suo esilio dalla scena televisiva per alcuni anni.

Certamente Lauro fu venerato da gran parte del popolo napoletano che riconosceva in lui il leader capace di risollevare le sorti della città, ma anche colui al quale rivolgersi, facendo affidamento sulla sua munifica prodigalità, per risolvere problemi personali. Assai numerosi sono gli aneddoti che si narrano in proposito.

La sig.ra Dufour ci ha raccontato che al termine del funerale del nonno – che paralizzò letteralmente il traffico cittadino, data la nutrita partecipazione dei napoletani, desiderosi di dare l’ultimo saluto all’ex sindaco –, una donna minuta e dal fisico mingherlino cominciò ad emettere grida disperate e prolungate all’ingresso del portone del palazzo Lauro, all’interno del quale si erano raccolti i parenti del defunto accanto alla bara. Lasciata entrare, la donna, accompagnata dalla figlia in evidente stato di imbarazzo, iniziò a strisciare in ginocchio, quasi a mo’ di atto penitenziale, versando copiose lacrime, senza mai interrompere i suoi lamenti, fino ad arrivare davanti al feretro. Infine pregò che le fosse concesso un dono: un qualunque fazzoletto appartenuto al Comandante. La donna raccontò infatti che in passato, in un momento di grave difficoltà economica in cui versava la sua famiglia, era stata lautamente beneficata da Lauro a cui aveva chiesto aiuto. Per attirare la sua attenzione e parlargli direttamente, trovandosi nel bel mezzo di una ressa di donne nerborute e ben in carne, inscenò un gesto plateale: si avvicinò a don Achille e gli “scippò” il fazzoletto che egli portava nel taschino.
Dopo questo episodio, la donna diventò una sorta di beniamina che Lauro portava sempre con sé ad ogni comizio elettorale. Era lei che teneva l’arringa inaugurale, con la quale doveva convincere la folla, rigorosamente in napoletano, a votare don Achille che tanto si era adoperato per la sua causa.

In un successivo articolo, si entrerà nel merito delle abitudini e della vita quotidiana di Achille Lauro attraversol’intervista alla nipote Donatella Dufour.

Massimiliano Longobardo

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