venerdì, Marzo 29, 2024
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‘O paese d’e pazzi

Questa nomea Aversa se l’è “conquistata” ospitando, nel centro storico, l’ospedale psichiatrico giudiziario dal 1876 al 2015, quando verrà chiuso definitivamente. 

E com’ è che un Magistrato del Tribunale di Napoli, residente ad Aversa, decide, come lui afferma, di confrontarsi con la follia, facendosi internare nel 2014, insieme a un fotoreporter, nell’OPG per tre giorni? 

Certamente una scelta particolare, visto che avrebbe potuto decidere di andare al mare in un luogo paradisiaco a goderne le meraviglie. 

Nicola Graziano, invece, ha superato il muro, “Quelle mura alte che sono una ferita nel tessuto della città e che significano separazione, distanza, alienazione, internamento delle coscienze”, scrive nel libro “Matricola zero zero uno” che è un diario, a mio parere, poetico della sua permanenza nell’OPG.

“Corridoi che sembrano piste di decollo, celle abitate da internati simili a deserti desolati, silenzio e grida, grida violente e silenzio assordante, tempo vuoto, infinito spazio in pochi metri quadrati, occhi, sguardi, luci spente, sorrisi, violenza, vestiti strappati dal dolore, dolore segnato dal tempo, stanze sporche, stanze pulite, mura imbiancate che però non nascondono il dolore, celle di contenzione, fumo di sigarette tenute da mani arse e ingiallite. Adesso sono davvero nel cuore della Follia, solo al suo cospetto, era quello che volevo ma il mio cuore trema come una foglia al vento in tempesta, la mia mente in lotta, la paura è di non poter tornare più indietro e di finire, anch’io, nell’inganno della follia.”

Parole struggenti. Parole che agguantano il lettore e lo scuotono, lo risvegliano. 

A questo punto, forse, si potrà concepire che esistano Magistrati con una profonda sensibilità ed empatia, caratteristiche di chi mette al primo posto il cuore nella vita che gli è data di vivere.

Ho pianto leggendo la storia del pugile, con un’infanzia disperata, che colpiva chiunque gli si avvicinasse e che dormiva abbracciato al suo orsacchiotto di peluche, perché diceva: “Riesce a calmare le mie ansie, la mia rabbia e le mie paure.” E sono ammutolita guardando la sua fotografia.

Nicola, tu nel libro riporti una domanda che ti sei posto pensando, prima di entrare, agli uomini rinchiusi nell’OPG: “E perché loro e non me? O forse da oggi anche me, senza più ritorno?” 

Hai trovato una possibile risposta? 

Sì, l’ho trovata, ed è che non esiste questa separazione, perché siamo tutti uguali nel dovere e nel rapporto con i più deboli, perciò, da questo punto di vista, il viaggio per superare la barriera della distanza mi ha dato questa risposta. Quindi, io dico, chi pensa di stare dall’altra parte e di non essere, appunto, come gli altri o uno degli altri, evidentemente, non ha compreso il senso profondo della relazione umana.

Nel Reparto 6, dove ti hanno rinchiuso, hai incontrato: “Al Capone”, “Un discendente dei Winsor del Regno Unito”, “Robin Hood”, chi ha ucciso i genitori, chi la figlia, chi ha ucciso e poi mangiato la propria madre, tutti uomini accumunati dalla follia. 

Basaglia affermava che la follia è in noi come lo è la ragione. Quindi, secondo questa idea, la salute mentale non è assenza di follia. Tu che idea ti sei fatto della follia? E della sanità mentale?

Mi sono fatto l’idea che c’è molto da lavorare, bisogna, sempre di più, superare e ridurre questa distanza. In pratica la sintesi di questa domanda è: esiste ancora lo stigma? Quanto pesa nelle relazioni umane e soprattutto nei confronti delle persone più deboli? Questa è la sfida che si è posta la legge di riforma dell’OPG, però mi rendo conto che è ancora un percorso molto lungo, perché non è soltanto normativo, di intervento sanitario o di altro tipo, il problema è culturale e quindi la distanza da queste situazioni è ancora molto ampia, allora riflettere, parlarne e anche questa intervista, le mie modeste parole possono essere utili per ricordare che la distanza va colmata, in quanto, una società civile e democratica, chiaramente, non può mettere nell’angolo chi ha un disagio, qualunque esso sia, segnatamente quello della mente.

Nel tuo libro “Matricola zero zero uno” scrivi: “Dietro le sbarre la libertà e il tempo si fondono per svanire in un infinito buio.” 

È ovvio il tuo riferimento al buio della mente, o mi sbaglio? E com’è quel buio? 

Sì, questa è stata la riflessione. Il buio della mente è un buio strano, dato che lascia sopravvivere e nello stesso tempo non da la possibilità di poter dire o essere creduto, io lo dico nel libro a un certo punto: “… Vivere senza poter essere ascoltato è un po’ come morire”, questo fondamentalmente corrisponde al buio della mente. Io nel relazionarmi e riflettere, in quei giorni, ho visto persone di grande intelligenza, di grande sensibilità, di grande voglia di amicizia, ma con il limite del buio che non illuminava, ovviamente, la relazione umana che si voleva instaurare.

Scrivi: “Oramai la follia mi perseguita ovunque. La sento addosso, lieve come una ragnatela che con mano sapiente tesse, come per avvolgere sempre di più il cuore, per poi stritolarlo.” 

Come ti sei liberato dalla ragnatela? Perché te ne sei liberato, giusto?

Questa è una domanda alla quale non si può dare una risposta netta. Sono esperienze, che cambiano definitivamente e per sempre la vita di un uomo. Per cui il concetto di liberazione va inteso in due modi, se la liberazione dalla ragnatela è una nostra missione, sicuramente, sì me ne sono liberato, ma non è possibile liberarsi dal senso del dovere di raccontare, di ricordare e posso dire, con molta modestia, che questo libro ha il pregio, quanto meno, se non è un libro capace di essere letteratura, di fermare il tempo, rammentare, come iconografia, agli uomini quello che è stato e dove non si deve più tornare.

C’è una frase nel libro: “La credenza che la realtà che ognuno vede sia l’unica realtà è la più pericolosa delle illusioni”.

Quanto pericolosa? 

Queste parole sono, in una foto, scritte sul muro dell’OPG.

È pericolosissimo! Noi dobbiamo fare i conti con questo e meditare profondamente su come sia possibile risolvere questa immaginazione, che poi è il senso metaforico della follia.

Nel libro, a me sembra, per come li racconti tu gli uomini che hai incontrato, se non fossero folli, potrebbero essere “Definiti” saggi, artisti, poeti. O dovremmo dire “Pericolosi poeti” o più audacemente “Poeti pericolosi?”

Sono due spessori che non si escludono, non è che un folle è artista o viceversa, io penso che tutti noi con quello che proviamo a fare nella vita, professionalmente, da artisti, da pittori, da poeti, anche da cittadini, siamo folli e nello stesso tempo artisti, credo che persino l’abbraccio di un padre a un figlio sia una grande opera d’arte e nel contempo quella follia che lega gli affetti, quindi la bellezza di questa esperienza è anche di poter dare un senso profondo della multi valenza dei gesti, che d’altra parte possono essere non compresi, ma elevati a grandi opere d’arte o grandi gesti di poesia e di umanità.

Credi che si debba vigilare affinché non accada ancora di rinchiudere la follia, insieme agli uomini fatti suoi prigionieri, in un OPG?

Io penso proprio di sì! Anche questa intervista, le tue domande, le riflessioni che stiamo facendo insieme sono un monito, perché è facile che la società possa tornare indietro, ed è troppo facile non condividere e mettere nell’angolo, nell’ombra, il problema. Nell’ultima parte del libro lo dico chiaramente che si alimenta la follia fino a quando abbiamo il pregiudizio. Io non so cosa accadrà nei prossimi tempi, anche a livello governativo, ma soltanto poter sentire certe affermazioni fatte da alcuni politici: “Bisogna ripensare agli OPG”, fa rabbrividire. E quando dovesse accadere questo, penso che sarà doveroso, per quanto mi riguarda, cercare qualunque strada per far arrivare il libro nei luoghi giusti affinché l’idea non trovi spazio per essere realizzata.

Nicola, il 25 settembre “Matricola zero zero uno” in una trasposizione teatrale andrà in scena, mi racconti questo evento straordinario?

Il libro ha avuto una certa fortuna tra i lettori ed è stato poi trasposto in un’opera teatrale dal titolo, appunto, “Matricola zero zero uno”, la regia è di Antonio Iavazzo e gli attori della compagnia da lui presieduta e diretta, sono bravissimi, hanno interpretato l’opera in una chiave beckettiana.

Andrà in scena il 25 settembre alle ore 20:30 nel Palazzo Marchesale di Trentola-ducenta che è vicino ad Aversa e sarà una replica, perché lo spettacolo è già stato ospitato in molti teatri d’Italia, io sono particolarmente contento di questa replica che viene dopo la chiusura dei teatri e credo che non sia l’ultima, oltretutto abbiamo voglia di raccontare anche in altro modo questa vicenda, però ancora non posso anticipare nulla.

Invito tutti a partecipare, inoltre, essendo l’evento organizzato dall’amministrazione di Trentola-ducenta si potrà accedere gratuitamente e alla fine dello spettacolo ci saranno ampie degustazioni di prodotti tipici dell’agro aversano, per allietare i nostri cuori.

a cura di Maria Grazia Grilli

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Redazione StreetNews.it
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