Non è mai abbastanza per cantare l’amore.

VALENTINA MATTAROZZI Bolognese di nascita, artista a tutto tondo, studia danza classica per dieci anni e calca i palchi teatrali anche come attrice e autrice.

Studia canto lirico, conservatorio Martini di Bologna e Frescobaldi di Ferrara, ma la sua innata curiosità la porta a scoprire tanti generi musicali, (dal pop al rock, dal blues alla fusion).

Ed è proprio la mescolanza di tutto questo che la rende unica. Il suo primo vero grande amore è, e rimane, il Jazz che è la sua principale fonte di ispirazione anche quando compone. Collabora con vari artisti bolognesi tra cui Annibale Modoni, Teo Ciavarella, Felice Del Gaudio, Carlo Atti e Lele Barbieri.

Dal 2013 è la vocalist della famosa Doctor Dixie jazz band, che ha visto collaborazioni con Gerry Mullighan, Lucio Dalla, Pupi Avati e Renzo Arbore.

Si cimenta anche nella scrittura teatrale, debuttando con “Io sono Billie”, spettacolo anche questo, incentrato sulla vita di Billie Holiday. Nel 2014 debutta con l’album di inediti “Vally Doo”, entrando in top ten e top twenty delle classifiche radiofoniche.

Ad aprile 2020 durante il periodo di lockdown ha partecipato all’iniziativa #jazzadomicilio organizzato dal Bologna Jazz Festival ed il 30 maggio 2020 è stata la cantante del primo concerto in Italia “in condominio”, dopo il lockdown, esibendosi con il trio del Maestro Teo Ciavarella a “Borgo Masini”.

Ciao Valentina, cosa ti ha spinto a scrivere e cantare “L’amore perduto”?
Quando ho trovato le note sul piano del brano, mi sono arrivate delle immagini. Spesso scrivo il testo in base a ciò che mi appare, non è una regola, ma questa volta è andata così.
Mi è venuto subito un brivido lungo la schiena ed ho capito che era la musica giusta per portare alla luce questa storia.

Un testo tratto da una storia vera. Come ne sei venuta a conoscenza?
Me la raccontarono i miei famigliari quando ero una ragazzina, alcune volte capitava che mi raccontassero avvenimenti della seconda guerra. Mi colpì molto, tanto da scriverne una canzone. Ma di storie così o anche più tragiche di quel periodo tremendo ce ne sono tantissime, la seconda guerra mondiale e le azioni criminali dei nazisti hanno profondamente colpito la popolazione

Quanto ad oggi è sentita per gli italiani la festa del 25 aprile?
Credo che sia sentita ancora molto, la guerra e l’occupazione nazista hanno provocato delle ferite ancora non rimarginate. I miei famigliari hanno abitato lungo la linea gotica, e purtroppo sono stati testimoni di situazioni e violenze tremende. Io credo che sia importante questa festa proprio per cercare di non commettere più quegli errori. Tuttora esistono nel mondo delle prevaricazioni, anche vicino a noi, sia dal punto di vista temporale che di distanza, basti pensare alla guerra dei Balcani, o a ciò che sta succedendo in Turchia.
La libertà di espressione spesso viene messa alla prova anche ora, in vari modi. La festa del 25 aprile dovrebbe cercare di infondere nelle menti, anche dei più giovani, un comune senso del diritto alla Libertà, di espressione, politica e culturale

Secondo te come va il jazz in Italia?
Sicuramente non è come nei momenti d’oro, tra gli anni 40 e 50, quando alla radio trasmettevano tanto jazz, ma è diventata una forma di espressione e di musica di nicchia, tuttora molto amata e ascoltata.
Dovrebbe secondo me essere inserita la possibilità, nelle scuole di primo e secondo grado, di ascoltare jazz, magari quello più di facile ascolto, insieme alla musica classica, che già viene proposta. Poter dare una formazione all’ascolto di musica di qualità ai ragazzi , fornirebbe a loro le basi per poter fare una scelta vera di musica da ascoltare, mentre adesso questa possibilità è loro negata.
Tranne per chi ha genitori che amano questo genere di musica. Ora nel main stream radio fonico, ma anche nelle piattaforme musicali, si tende ad ascoltare solo musica usa e getta, una canzone, quando va bene, va di moda due mesi al massimo. È un peccato anche che molti ragazzi che ascoltano rap e R&B, non sappiano che quella musica sia proprio nata dal blues e dal jazz. Ormai si ascolta solo musica elettronica. E in questo modo anziché avere una evoluzione, il rischio è di impantanarsi in una involuzione musicale.

Quanto tempo hai impiegato a scrivere il brano?
Normalmente scrivo la musica e poi per trovare un testo che mi appaghi ci metto un po’, lo devo far decantare, e poi apporto delle eventuali modifiche. In questo caso invece ho scritto quasi subito il testo, poi ho smussato alcune cose che ritenevo troppo esplicite, per tenerlo invece in un contesto onirico. Comunque in poco tempo ho scritto musica e parole, dopo due settimane avevo già scritto la partitura per la Siae.

L’amore è un tema ampiamente diffuso nella canzone italiana. Perché il tuo brano si dovrebbe contraddistinguere da tutti gli altri? Che valore aggiunto dà?
L’amore è un tema diffuso , ma è anche talmente ampio e pieno di sfumature che se ne potrà ancora scrivere tanto. Il mio brano parla di come un amore può salvare delle vite, nel vero senso della parola, non è un eufemismo.
Se non ci fosse stato lo scambio di prigionieri, molto probabilmente sarebbero morti tutti. L’amore di questo soldato nei confronti della sua amata è stato così forte e potente da poter organizzare qualcosa che è difficile da immaginare. In tempo di guerra poi l’amore viene vissuto come qualcosa a cui aggrapparsi, è l’antitesi della morte.

Qual è la canzone, tra quelle composte e cantate fino ad oggi, che ti rappresenta maggiormente e ti ha dato più soddisfazioni?
Tra le mie canzoni? Non saprei, tutti i brani che ho composto sono come dei piccoli figli che adoro cantare e reinterpretare. Se per “soddisfazione” si intende cavalcare la top ten radiofonica, allora “Senza Paracadute” me ne ha date tante, ma quando sono su un palco, credetemi, ho lo stesso piacere a cantarle tutte.
Tra gli standard jazz amo alla follia “Round Midnight” di Thelonious Monk, da sempre, dal primo momento che l’ho sentita nella versione interpretata da Chet Baker.

Ultimamente molti artisti stanno lanciando l’idea di concerti in streaming. Cosa ne pensi?
Non mi piacciono, mi è capitato di partecipare, ma manca completamente il calore del pubblico. Sinceramente credo che la musica non possa essere fruita in questo modo, perché contravviene alla sua essenza, cioè allo scambio di emozioni. Il cantante/cantautore che si esibisce, non lo fa per sè stesso; il feedback, il respiro delle persone, sono fondamentali, essendo appunto la musica uno scambio continuo di emozioni che dura per tutto il tempo del concerto.
Io credo che la musica sia comunicazione attiva, non passiva. Capisco che adesso si senta l’esigenza di ascoltarla in streaming, ma a parer mio, meglio ascoltare una buona registrazione, magari proprio dal vivo, che vedere o partecipare a concerti in streaming. Credo che sia utile adesso non dare troppo spazio a questa forma di spettacolo, perché rischieremmo poi di lasciare alle generazioni future una errata eredità.
Sono centinaia di anni che l’uomo fruisce dei suoni e delle emozioni dal vivo, e anche in futuro, se vorremo che la musica abbia un futuro, dovrà essere così.

Rosalba Lisbo Parrella