venerdì, Aprile 19, 2024
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Le sofferenze sono otto?

A sentire Siddhartha parrebbe di sì.

E certamente si può affermare che il buddismo origina da qui.

La prima sofferenza: la nascita, ha sempre suscitato in me un grande interesse perché non si riferisce soltanto al parto, ma a ogni inizio che riguardi il susseguirsi di avvenimenti nella vita dentro e fuori di noi, praticamente il nuovo che “nasce”.

La vecchiaia, è la seconda, ci ricorda che tutto si trasforma.

La terza: la malattia. Chi non ha mai preso un raffreddore?

La morte è la quarta. C’è ben poco da dire e forse moltissimo da scoprire.

La quinta: perdere chi si ama.

Incontrare chi si odia è la sesta.

La settima: non realizzare i propri desideri.

La disfunzione nelle cinque componenti psicofisiche è l’ottava.

La sofferenza è attivata dalla bramosia. Il volere a tutti i costi trattenere qualcosa che rende felici e così facendo non accettare la mutevolezza che invece è inevitabile.

Spesso si vive immersi nell’ignoranza che guida, irrimediabilmente, verso l’oscurità e da lì si osserva il mondo, si desidera, si pensa, si parla e si finisce con l’agire in un certo modo.

Ecco perché si soffre, perché si è al buio e non si può vedere la meraviglia tutt’intorno.

Ci si nutre di veleni come la collera, l’animalità, l’avidità, la stupidità, l’arroganza. Un vero e proprio avvelenamento.

Urge una disintossicazione per poter godere appieno la vita.

Buddismo o no, tutti, ineluttabilmente, dovremo incontrare le otto sofferenze, che tra l’altro sono, a mio parere, altamente democratiche o dittatoriali, come si preferisce, tutto dipende da quale punto di vista le si osservi.

Un “regalino” per tutti e che non si può neppure rifiutare: “No grazie, non posso accettare, è troppo, non c’era bisogno di disturbarsi così”.

No, no, tocca proprio accettare tutti questi “regalini” e per di più farne buon uso, perché

una volta appurato che non si possono rigettare bisognerà vedere come organizzarsi, per giovarne al meglio.

Porre attenzione, per quanto possibile, alle cause e più precisamente a cosa si “Semina”, è fondamentale. Il seme produrrà i suoi frutti.

E da qui parte “il gioco” tra l’oscurità e l’illuminazione. Sapere cosa si sta seminando sarebbe un’azione di grandissimo valore. Un contadino è esperto, non semina a vanvera.

Essere un po’ “Contadini” non ha mai fatto male a nessuno. C’è un seme in un pensiero, in una parola, in una azione. Si può agire scegliendo il seme. Non seminiamo veleni. O, se li seminiamo poi non lamentiamoci del raccolto.

La vera alleata in questa vita è la consapevolezza, su questo non ho dubbi. La consapevolezza non guarda in faccia a chicchessia, procede senza dare ascolto alle voci interne ed esterne che tirano giù nel buio della cantina. Non si ferma a giudicare, convincere. Avanza a pieno ritmo, senza lasciarsi distrarre dalla sofferenza, verso l’alto, o se si vuole rimanere in tema “Abitativo”, dopo la cantina, verso l’attico per contemplare le stelle. È ispirata dalla verità.

Molti maestri hanno indicato il cammino da percorrere: allearsi con il sé, quel sé che ne sa sempre una in più del “Diavoletto”. Quel sé, direttore d’orchestra di tutti gli eventi, che dirige in modo sublime, al fine di ottenere una melodia rigenerante.

a cura di Maria Grazia Grilli

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Redazione StreetNews.it
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