La povertà e i suoi poveri figli!

La povertà partorisce figli ovunque, perciò, che sia internazionale è innegabile! Parla tutte le lingue e dialetti. Come la ricchezza del resto.

È la solita lotta, tra gli opposti, che non vivono l’uno senza l’altro, agiscono simultaneamente, in armonia, e quindi costituiscono un’unità, secondo Eraclito.

Spesso, “Addormentati”, si va avanti e indietro, a destra e a sinistra, in alto e in basso, per terra e per mare, a piedi e sulle ruote. Si può continuare senza limiti, se lo si desidera, sia l’elenco che l’escursione, infinita, nel dedalo degli opposti.

Difatti, c’è chi muore di fame e chi vive mangiando caviale e tartufo. Che schifezza! Il caviale e il tartufo, intendo. A chi piacciono e a chi no! Solo i poveri, non avendo altre possibilità, può darsi che li ingurgiterebbero, nonostante provassero disgusto, per il sapore.

La differenza corre sul filo dell’avere: si ha o non si ha fame!

Majid Rahnema e Jean Robert nel loro libro, “La potenza dei poveri”, scrivono: “Poiché la povertà accompagna la ricchezza come l’ombra la luce e laddove questa è più vivida che quella, per contrasto, sarà più profonda. Non è la mancanza delle cose che hai tu che mi rende povero. In un certo senso, è la tua stessa ricchezza. Se è così, lo “sviluppo” non è che è una grande illusione. Allo stesso modo in cui l’Inghilterra nel XVIII secolo conobbe la povertà più grande, perché era la nazione più prospera, il XX secolo ha conosciuto la peggiore miseria della storia, perché è stata l’epoca più affollata di cose materiali. Non ci sono “ricadute” sui poveri dell’arricchimento dei ricchi, o meglio: se alcune briciole cadono dai loro banchetti, non fanno che corrompere i sensi di chi le assaggia. L’abbondanza materiale dei ricchi moderni è radicalmente diversa dal senso della ricchezza nelle società “povere”, dove è ricchezza di relazioni umane e pienezza del mondo vissuto. La prima è esteriore e ostentatrice, la seconda, più discreta, è visibile solo dall’interno. Per questo la ricchezza dei ricchi non è trasferibile ai poveri, e questa è una delle ragioni per cui i progetti di assistenza del ricco al povero hanno prodotto spesso più miseria di quanto ne abbiano alleviata. L’homo oeconomicus, il vettore storico della ricchezza ridefinita dall’economia, incarna un’idea della ricchezza quantificabile e osservabile dall’esterno che è l’antitesi del senso della pienezza delle società “povere”. In queste ultime le fonti della ricchezza non possono essere separate, estratte dalle relazioni umane vissute, dai doni e contro doni che formano la trama di un mondo di intersoggettività condivisa. Il resto che segue dà un’idea delle ricchezze che contavano a quel tempo, per gli abitanti di un paese non ancora sottoposto alla “legge di ferro“ del mercato (…) Più una nazione è ostentatamente ricca, più i suoi cittadini diventano incapaci di stabilire i rapporti di solidarietà e mutualità che sono naturali, per i tradizionali poveri che erano la base delle loro reti di sussistenza. La solidarietà, mentre è una condizione assolutamente necessaria dell’economia di sussistenza dei poveri, è estranea al funzionamento dell’economia moderna. Ne deriva che una nazione ricca è, per sua natura una nazione di ricchi e di poveri; o meglio, dal momento che le solidarietà tradizionali hanno spesso dovuto essere spezzate, per permettere lo sviluppo delle economie moderne, questo sviluppo ha tendenza a scindere una nazione in via di arricchimento in due nazioni contrapposte, quella dei ricchi e quella dei poveri. L’a-morale dei poveri – o più precisamente la loro etica – si coniuga di rado con l’a-morale dei ricchi, i cui vizi sono benefici dal momento che fanno andare avanti l’economia.” Ah, l’economia! Che argomentone! O sarebbe più appropriato dire: che tormentone? Ma torniamo alla povertà e ai suoi poveri figli!

Come già detto all’inizio, seppure con altre parole, i poveri sono a portata di mano, per cui, non si deve salire su un aereo, un treno, una nave o altri mezzi di locomozione, basta uscire di casa e fare qualche passo, per incontrarli, anche se a volte sono irriconoscibili, eh sì, perché noi abbiamo un’idea della povertà, in alcuni casi ormai, molto fuori moda, superata. E questo essenzialmente scherma dal doversene occupare “Come se non ci fosse un domani”, che vorrebbe dire: non rimandare, ma sorvoliamo, meglio non avventurarsi nei meandri dell’approfondimento, sarebbe un discorso troppo lungo. Torniamo a: povertà e poveri dei paesi tuoi, suoi, nostri, vostri e di chicchessia! Prendiamo un posto a caso: Sorrento. Povertà ce n’è? Oh sì! Poveri quanti? Mi hanno riferito: un centinaio, l’eventualità è che siano di più e non di meno. Ebbene sì! Sono pochi, ma persistono da anni. Si fa fatica a crederci. Che ci vuole a eliminarli? Ehi, ehi, non si fraintenda quel che ho scritto! Il rischio di fraintendimento è sempre dietro l’angolo. “Eliminarli”, nel senso di aiutarli a uscire dalla povertà.

In fondo sono soltanto un centinaio di persone, ma quand’anche fossero mille, non dovrebbe essere un’impresa megagalattica toglierle dallo stato di povertà. Se ne parlassimo con dei bambini e delle bambine, senza dubbio, ci darebbero qualche dritta su come risolvere il problema economico di ognuno, purtroppo, invece dei bambini e delle bambine tocca interfacciarsi con chi percorre le strade: della burocrazia, dell’ignoranza, dell’incompetenza e del menefreghismo, per fare gli interessi, consapevolmente o inconsapevolmente di chi naviga, se non proprio nell’oro, nell’argento, traendone vantaggi, per sé stessi, e, per i loro amichetti belli, belli.

Attenzione, non sono i presidenti, i sindaci, e tanti/e altri/e, i/le responsabili principali, no, loro sono sostanzialmente gli esecutori, le esecutrici, di una politica che politica non è o non è più. È difficile trovare una parola, che descriva cosa sia diventata, o meglio, solo una parolaccia, probabilmente, la definirebbe in grande stile. Sì, una parolaccia sarebbe la scelta migliore, per una politica che mantiene la povertà, su questo Pianeta, come se fosse una risorsa economica. E forse, per qualcuno, lo è! E allora, se così fosse, non può che venire in mente una parolaccia! No?

Ho avuto modo di parlare con chi ha le idee chiare sulla povertà a Sorrento; ciò che va sottolineato, mi dicono, è che nei territori benestanti è ancora più stridente, la povertà. 

A pensarci bene è plausibile, perché, sostiene qualcuno, le persone desiderano stare al passo con una società opulenta, ed ecco che, per evitare forme di imbarazzo, di vergogna di vivere nella povertà, e, per non essere emarginati/e, comprano abiti e scarpe di un certo tipo; organizzano, per vedere i/le figli/e bene integrati/e nel “Cerchio magico”, feste dei diciott’anni e della prima comunione, spendendo molti soldi, e ahimè, così facendo la loro povertà cresce; cominciano a non effettuare alcuni pagamenti: conti della spesa, affitto e rate di acquisti vari. D’altronde, si sa quanto sia facile essere guardati in un certo modo, ancora oggi nel 2024, per il proprio ceto sociale, per come si è vestiti, per come di qua e per come di là; ed essere esclusi da certi ambienti “Aristrocratici”, come direbbe “Il piccolo Lord”.

La responsabilità è a vite incrociate, tra chi produce il sistema del “Sei super se hai, sei super se fai” e chi si incastra nel sistema e ne resta prigioniero, credendo di doversi comportare come chi il sistema l’ha prodotto. 

E chi ci rimette? Ovviamente, chi non ha gli stessi strumenti-soldi dei produttori del sistema! 

Qualcuno potrebbe dire: “Ma nessuno li costringe a procurarsi ciò che non possono permettersi”, sì, ma ai promulgatori di certezze granitiche, andrebbe ricordato, oltre a quello già detto, che esistono i condizionamenti e le influenze! Ogni riferimento alla febbre e al raffreddore è puramente casuale, anche se spessissimo, i virus che li hanno provocati, si trasmettono. Appare quindi scintillantemente ovvia la faccenda.

E allora, qual è la via d’uscita? È semplice: parco giochi, per tutti, nessuno escluso! 

Questa è l’unica possibilità, per avere un ambiente dove la povertà, che non è proprio un vanto, per la società, resti soltanto un ricordo sbiadito; sarebbe un beneficio, non solo, per chi non ha soldi, ma persino, per chi li ha! Eh sì, sotto, sotto, la povertà, a un livello più sottile, intacca anche chi della ricchezza ne fa una missione o una questione di vita o di morte!

Infine, ognuno faccia ciò che vuole, che più grossolanamente equivale a dire: siete stati/e avvertiti/e, poi fate come vi pare!

La povertà la dice lunga sulle tante motivazioni della sua esistenza, qualcuno è convinto che sia il frutto sgradevole di un’ingiustizia, perché c’è chi ha accumulato troppo. In pratica, i poveri non sono il risultato della sfortuna o di una maledizione, ma esistono, perché molte volte pagano il prezzo dell’arricchimento esagerato di certi individui.

A Sorrento il lavoro pare che non manchi, tant’è che lavorano quasi tutti, “Quasi”; il problema è far quadrare i conti, ma con stipendi, il più delle volte, non adeguati al costo della vita, approvati, addirittura, dalla legge, non è sempre facile!

Come se non bastasse, i prezzi sono molto più alti della media, per abbigliamento, cibo e altro.

A Sorrento, mi raccontano, le persone che vivono in situazioni di povertà sono, in certi casi, le famiglie, in altri persone singole, che si avvalgono della mensa alla Caritas e che richiedono aiuto, per il pagamento delle bollette e di assistenza: spese alimentari ecc.

Forse hanno un sussidio erogato dal Comune, “Forse”, perché essendo dati riservati non v’è certezza.

La soluzione, mi ricordano, non è sempre la conseguenza di un problema, in senso generale, a meno che non accada qualcosa di grande a livello culturale, ovvero una conversione epocale che porti cambiamenti radicali nello stile di vita; nel piccolo di questa comunità certe scelte, mi suggeriscono, potrebbero essere fatte, intanto, quella di rendere disponibili alcuni alloggi, soprattutto, per le famiglie giovani, e poi calmierare il canone di locazione di questi alloggi, perché si parla di monolocali con richieste di affitto che si aggirano intorno a settecento, ottocento euro al mese, e di altri affittati a duemila, duemilacinquecento euro. Per di più, può capitare che siano locali umidi e in condizioni non buone.

Poi c’è una questione incresciosa, mi spiegano: “Non me la sento di dire molto, ma ho la sensazione che alcune aziende, specialmente nel comparto turistico, trattino bene i loro dipendenti e altre aziende meno bene. Dovrebbero adeguare le retribuzioni, per il lavoro che si svolge”.

E comunque rimane il fatto degli stili di vita, mi ribadiscono, spesso sono insostenibili, e possono andare dalla continua ristrutturazione di case, diventata ormai una “malattia” di molti, all’acquisto di automobili, cellulari ultimo modello, ed elettrodomestici particolarmente accattivanti, cioè, non ci si accontenta di un semplice televisore, ma si vuole avere quello da sessanta pollici.

“Bisognerebbe ricercare uno stile di vita leggermente più sobrio!”. Credo sia un’idea, questa, che non si può fare a meno di tenere a mente!

Tante famiglie a Sorrento, mi fanno notare, si svenano fino a dissanguarsi, per collocare i/le figli/e in contesti di animazione del tempo libero, che sono molto costosi: scuole di calcio, palestre di danza, scuole teatrali, per non parlare degli asili nido. C’è quello comunale che pare dia accessibilità in base alle situazioni reddituali delle famiglie e poi ci sono quelli che purtroppo devono chiedere il pagamento di una retta, perché diversamente non ce la farebbero a sostenersi, ci vorrebbe il supporto dello Stato, per tutte queste attività. C’è tanto da fare, proseguono, ma la cosa più importante rimane la necessità di una trasformazione culturale.

Tutto questo fa riflettere su come le persone che non hanno molti soldi, per vivere, se si lasciano condizionare, da un sistema bacato, finiscono, per impoverirsi sempre di più, e quindi soffrire, sempre di più! 

Si potrebbero scrivere fiumi di parole sulla povertà e i suoi poveri figli, ma spesso trovare quelle giuste può essere difficile, così, per concludere mi affido ancora una volta a Majid Rahnema e Jean Robert: “Il linguaggio che definisce le soglie di povertà e ne fa una condizione astratta, disincantata (il povero diventato un essere caratterizzato da ciò che non è piuttosto che da ciò che è) non è altro che quello delle certezze economiche moderne. La storia degli ultimi tre secoli mostra abbondantemente come i poteri dominanti abbiano ridefinito “il povero sulla base delle sue presunte carenze piuttosto che delle sue capacità, e come gli abbiano costantemente imposto di internalizzare questo sguardo esterno su ciò che egli ha di più intimo. Il povero certificato, oggetto potenziale di intervento dei poteri pubblici, è il prodotto dell’internalizzazione di una eterodefinizione – letteralmente: una definizione da parte di altri, ovvero da parte di un potere esterno. Quando si dice che il povero è diventato progressivamente visibile nell’Europa premoderna, questo accesso alla visibilità deve essere considerato come parte dell’elaborazione di un modo di osservazione che permette di vedere, da un punto esterno al loro mondo vissuto, tutti gli uomini e tutte le donne come dei miseri in libertà condizionata o dei candidati alla pauperizzazione.”

Ogni istante nascono nuove idee, e non tutte creano valore, molte lo annientano, il valore! 

Non sempre ciò che appare un bene si rivela tale, così come, per il male, ma questo è un pensiero rinomato! E qui mi preme ricordare il punto di vista di Patrizia Cavani, la poeta dei nostri tempi: “Non mi piace il denaro meritato, mi piace il denaro vinto, avuto per sorte. Il denaro guadagnato e sudato, mi fa orrore”. Indubbiamente, per alcuni risulterà un pensiero ostico, inadeguato, ma non si può fare a meno di riconoscere che sia congruo, per riflettere sul fatto che chi predica, il sudore, quando si vuole ottenere qualcosa, non lo si vedrà mai con una gocciolina sulla fronte, mentre “Gli schiavi e le schiave” che lavorano, per quelli/e che “Professano” la fatica, saranno madidi/e di sudore; chiaramente giocare, per ottenere denaro, è una malsana abitudine, ma se il gioco non è d’azzardo, rimane un gioco.

C’è da evidenziare che alcune persone aiutano tantissimo i poveri mantenendo una parte, non enorme, della propria ricchezza personale, e ciò è un bene. Non c’è bisogno di eccessi, né per un verso né per un altro, ma di misura! E se a qualcuno la misura non dovesse piacere, c’è sempre la frittura; questa potrebbe essere considerata una battuta un po’ all’inglese, leggermente o pesantemente incomprensibile, anche se, incomprensibile, non lo è affatto o almeno non lo è, per tutti. 

I poveri, spesso, non hanno libertà di scelta su come essere aiutati, ed è un male, perché oltre a essere poveri, per molti sono anche deficienti, nel senso, non in grado di sapere cosa sia giusto, per loro stessi!

Alla fine, sicuramente, è possibile rendersi conto che la povertà ha la dignità, che la “miseria” di chi sguazza nel fregarsene dei poveri non ha.

A cura di Maria Grazia Grilli

“La potenza dei poveri”, traduzione dal francese a cura di Marinella Correggia, Editoriale Jaca Book Spa, Milano, per l’edizione italiana.