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Ivan Bellavista e il suo Molière Immaginario

Il Molière Immaginario (2014) è una singolare riscrittura del Don Giovanni di Molière – una delle commedie più note e controverse del teatro francese –, elaborata da Ivan Bellavista, attore di punta delle performance teatrali messe in piedi da Antonio Rezza e Flavia Mastrella. Sulla sua pièce, portata in scena qualche anno fa insieme a due brillanti interpreti, Matteo Di Girolamo e Sandra Conti, Bellavista ha voluto soffermarsi, rispondendo a due domande inerenti alla genesi dell’opera e ai modelli di riferimento.

Il tuo lavoro prende in prestito l’attributo “immaginario” dal titolo di un celebre capolavoro di Molière, Il malato immaginario, ma il testo d’ispirazione è il Don Giovanni, che nondimeno è stato ripreso con una rivisitazione sui generis

Una rivisitazione così radicale che del Don Giovanni rimane praticamente soltanto lo scheletro: io ed i miei compagni, Matteo Di Girolamo e Sandra Conti, in teoria dovremmo interpretare don Giovanni, Sganarello e donna Elvira, ma di fatto il testo originale è stato completamente stravolto. Questo lavoro nasce da una mia reazione nei confronti dei personaggi intesi in senso tradizionale, strutturati secondo un copione predefinito. Al suo debutto, lo spettacolo, allestito sotto una diversa regia, presentava un’impostazione sostanzialmente classica, basandosi tra l’altro sulla rivisitazione di diversi testi di Molière – oltre il Don Giovanni, anche il Tartufo e Il borghese gentiluomo. Quando abbiamo rimesso mano al testo, mi sono accorto che c’era qualcosa che non andava, non perché non fossi soddisfatto del prodotto, ma perché non ero soddisfatto di me stesso, mi sentivo in un certo senso in gabbia. Dopo tanti tentativi, insieme con Sandra e Matteo, riplasmando e riscrivendo il testo, sono riuscito ad arrivare ad una sorta di compromesso: uno spettacolo a metà tra il classico e il trash, un vero e proprio gioco, le cui pedine sono tre attori che mettono in discussione persino l’idea di teatro.

Pensi che le precedenti esperienze teatrali in cui ti sei cimentato, dal Gastone di Petrolini alle performance di Antonio Rezza e Flavia Mastrella, abbiano inciso sulla genesi e sulla realizzazione del tuo Molière? Se sì, in che misura?

Assolutamente sì. Posso dire che grazie ad Antonio e a Flavia si sono creati i presupposti per comprendere realmente cosa vuol dire fare teatro oggi e soprattutto perché fare teatro. Viviamo in un’epoca in cui credo che non abbia molto senso far parlare personaggi che già nel corso dei secoli hanno avuto voce in capitolo – e ciò vale soprattutto per il Don Giovanni che è un’opera del ’600. Gli attori sono un po’ come dei truffatori, che promettono una cosa e te ne offrono invece un’altra. Molière, da questo punto di vista, è stato per me un semplice mezzo, un espediente: la gente crede di assistere ad un’opera di Molière, mentre noi mettiamo in scena tutt’altro, ossia noi stessi. Grazie al Gastone ho capito che ognuno ha dentro di sé tutti i personaggi della storia del teatro: io ho da sempre Gastone, al punto che probabilmente lo riproporrò in futuro. Grazie ad Antonio e Flavia, invece, ho capito che da noi stessi, dal nostro corpo, dalle nostre ansie e dai nostri limiti – ma anche dalle nostre prodezze – è possibile tirare fuori cose originali e anche belle, a patto che però nascano spontaneamente. Lo spettacolo è nato di getto, è venuto su in modo del tutto naturale, senza che ci si sia messi seduti a scriverlo; infatti la scrittura è subentrata in un secondo momento. Questo è il più grande insegnamento che ho ricevuto e che ho cercato di mettere in atto.

Massimiliano Longobardo

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