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In scena al Piccolo Bellini la pazzia di Vincenzo Gemito

Antimo Casertano ripercorre in una formula teatrale un periodo cruciale della vita dello scultore partenopeo, segnato dall’alienazione mentale. Repliche fino a domenica 1 maggio.

Dopo aver debuttato la scorsa estate al Campania Teatro Festival, è tornata in scena dal 26 aprile al Piccolo Bellini di Napoli la pièce scritta, diretta e interpretata da Antimo Casertano “Gemito – L’arte d’ ‘o pazzo” (NarteA e Teatro Insania), con Daniela Ioia, Luigi Credendino, Ciro Kurush Giordano Zangaro. 1887, casa di cura Fleuret, manicomio di Napoli. In una notte tempestosa lo scultore napoletano, un tempo considerato un genio, fa i conti con i propri fantasmi e in particolare uno – la scultura in marmo di Carlo V d’Asburgo che gli fu commissionata da Umberto I, ma che egli non riuscì mai a portare a termine, limitandosi ad un bozzetto in bronzo e ad un modello in gesso. Un’immagine spettrale che lo inchioda alle responsabilità di una creatività inesplosa, repressa e schiacciata da sedicenti “nemici”. Nemici, che lo scultore considera esterni, principalmente coloro che si sono venduti al mercimonio della committenza, allo spregevole “mercato dell’arte”, tradendo il genuino e disinteressato principio de l’art pour l’art. Fuggito dal manicomio, Gemito ritorna a casa dove deve fare i conti con un senso di frustrazione sempre più lacerante e dirompente, scaturito in particolare dal confronto con la moglie Nannina. Quest’ultima si sforza di condurlo alla consapevolezza che il vero nemico contro cui lotta è unicamente se stesso. In direzione opposta al motti di Gabriele D’Annunzio (che pure ammirava l’artista) habere non haberi e «fare della propria vita come si fa un’opera d’arte», Gemito arriva alla tragica conclusione di essere posseduto dai suoi demoni e di aver fatto di se stesso soltanto «l’opera peggiore», urlando una verità che nessuno è in grado di comprendere – neanche l’apparentemente amichevole Salvatore – perché un vero dramma lo si comprende solo quando si vive sulla propria pelle. Sulla scena campeggia implacabile l’intatto blocco di marmo, le cui dimensioni Vincenzo si illude – quasi a trovare un pretesto – non siano quelle giuste: un vero e proprio personaggio muto sulla scena ma che lì, sul palco, insieme allo spettro persecutorio di Carlo V, è un monito costante a ricordare una inettitudine artistica che, sfociata in pazzia, ha reso lo scultore oggetto di ludibrio. Motivo per cui egli decide di autoconfinarsi in casa, per cercare scampo da quello che Petrarca avrebbe definito il «manifesto accorger de le genti». Il blocco di marmo è una sorta di supplizio, che, non a caso, nelle battute conclusive del dramma, Gemito trascina su di sé, quasi a mo’ di croce cristica, sotto il pressante incalzare persecutorio di Carlo V. Sarà ripensata e rimodulata, alla fine, la propria “verità” nel frastuono di una tempesta scrosciante, che ciclicamente chiude la pièce? Sorprendente ed emozionante performance quella di Antimo Casertano, che riesce a scandagliare con schietta immedesimazione le varie fasi della lucida pazzia di Gemito, scandite anche dalle “voci interiori” sussurrate dagli attori Ioia e Credendino, ai quali è demandato anche questo ruolo, oltreché quello dei personaggi Nannina e Salvatore.

La visione dello spettacolo è caldamente consigliata. Sono state esposte nel foyer del Teatro alcune riproduzioni di busti provenienti dalle Fonderie Gemito, con possibilità di una visita guidata a cura dello storico dell’arte Matteo Borriello. Si replica fino a domenica 1 maggio, con l’ultimo spettacolo alle ore 18.30.

Massimiliano Longobardo

uno spettacolo di: Compagnia Teatro Insania e Associazione Culturale NarteA; assistente regia: Lella Lepre; scene: Flaviano Barbarisi; costumi: Antonietta Rendina; assistente costumista: Angela Froncillo; musiche originali: Marco D’Acunzo e Marina Lucia; disegno luci: Paco Summonte; audio: Mariano Penza; foto di scena: Nina Borrelli; ufficio stampa: Gabriella Galbati e Milena Cozzolino; comunicazione: Rosa Lo Monte.

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Redazione StreetNews.it
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