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Il “Viaggio di Apione”, tra storia e mito nei Campi Flegrei

Un romanzo che ricostruisce l’esperienza di un giovane marinaio del II sec. d.C., arruolatosi nella classis Misenensis. Intervista all’autrice Maria Caputi.

Nei primi decenni del II sec. d.C., il marinaio Apione, per tentare fortuna, abbandona la sua terra natia, l’Egitto, approdando sulle coste campane e arruolandosi nella flotta di Miseno. Prendendo spunto da due lettere che il giovane egiziano inviò a casa, Maria Caputi – architetto e fondatrice de “La Terra dei Miti Srl”, impresa impegnata nella promozione e nella valorizzazione dei Campi Flegrei – ne ricostruisce la vicenda, tra storia e libera immaginazione, ne “Il viaggio di Apione”(Homo Scrivens, 2020, 201 pp., € 15; pref. di Fabio Pagano), opera che si pone al crocevia tra il romanzo storico e il Bildungsroman. Abbiamo approfondito il contenuto e le implicazioni del libro, discutendone direttamente con l’autrice.

Possiamo affermare che la vicenda di un giovane marinaio egiziano che si arruola nella flotta romana di Miseno offre il pretesto per un viaggio indietro nel tempo nel territorio mitico dei Campi Flegrei?

Certamente. Le antiche parole scritte dal marinaio Apione sui due papiri, ritrovati sotto le sabbie del deserto egiziano alla fine dell’Ottocento, mi hanno consentito di romanzare la sua vicenda personale, collocandola in quei luoghi che oggi sono i principali siti archeologici dei Campi Flegrei, immaginandoli all’epoca del loro massimo splendore. Duemila anni fa, questo ragazzo ha compiuto un lungo viaggio attraverso il Mediterraneo per giungere in un territorio unico al mondo: io gli ho affidato il compito di descriverlo con gli occhi di uno straniero proveniente da una terra lontana, l’Oasi egiziana del Fayyum. Apione è stato un marinaio della flotta romana più importante del Mediterraneo e quindi ha sicuramente frequentato i siti che ad essa si relazionavano: il porto di Miseno con le navi della flotta ancorate alle banchine, il lago interno che ospitava le navi durante la ferma invernale della navigazione, l’area di addestramento militare che ha lasciato traccia nel nome della località di Miliscola (militum schola), e infine le necropoli che custodivano le urne cinerarie dei marinai e degli ufficiali. Alcuni di questi luoghi sono scomparsi, come per esempio le caserme, il cantiere navale e gli arsenali, ma altri sono oggi emergenze archeologiche di grande fascino, se pensiamo ad esempio alla Piscina Mirabilis, punto terminale dell’acquedotto che Augusto fece costruire proprio per rifornire d’acqua potabile la sua flotta. Nella finzione del romanzo, Apione frequenta anche gli edifici più importanti del territorio flegreo che oggi sono siti archeologici di estrema bellezza e fascino, come le Terme di Baia, gli Scavi di Cuma, l’Anfiteatro e il Macellum di Pozzuoli.

Nella sua ricostruzione, come ha immaginato che Apione si avvicinasse alle diverse località del territorio flegreo?

Per offrire la possibilità ad Apione di “conoscere” altri luoghi dei Campi Flegrei, oltre a quelli esclusivi della flotta, ho immaginato che il giovane egiziano fosse un velario, cioè un marinaio il cui compito era di manovrare le vele della nave di appartenenza della quale, grazie alla lettera che scrive al padre, conosciamo addirittura il nome: “Athenonike”. Grazie a questa competenza, egli contribuisce alle manovre per la copertura dell’Anfiteatro di Pozzuoli, in occasione di spettacoli che immagino offerti da Adriano, in memoria del suo predecessore Traiano. Apione entra in quell’edificio di tre piani – tutto rivestito di marmo, con le gradinate piene di spettatori pronti ad assistere agli spettacoli dedicati alla caccia di belve feroci – per manovrare, insieme ai suoi compagni, lunghe tele di lino con la forza delle sue braccia. A Pozzuoli, inoltre, ha l’opportunità di conoscere il quartiere con le botteghe degli scultori e il Macellum, monumento noto anche come Tempio di Serapide e sito archeologico di enorme valore, storico, scientifico e iconografico. Per raccontare altri momenti del suo passaggio nel territorio flegreo, ho incrociato la “missione” che gli viene affidata con un episodio della storia di Roma realmente avvenuto, la cosiddetta “congiura dei quattro consolari” che attentarono alla vita di Adriano poco dopo che questi fu acclamato imperatore. Tale episodio è stato lo spunto per descrivere un altro sito frequentato principalmente dall’aristocrazia romana: Baia e le sue terme. Non poteva mancare infine una tappa del protagonista a Cuma. Il relativo capitolo del romanzo, che prende spunto dalla seconda lettera che Apione scrive alla sorella Sabina, è stato il pretesto per descrivere uno dei luoghi più affascinanti dei Campi Flegrei, per le mille suggestioni mitologiche e letterarie a cui rimanda.

Di quali fonti si è servita per collocare la vicenda di Apione in un contesto storicamente verosimile?

Sono veramente tante le fonti letterarie, papirologiche e epigrafiche che ho utilizzato per calarmi nella storia di Apione e dei Campi Flegrei. Mi sono documentata leggendo testi sulle flotte romane e sulla marineria in generale, monografie su Traiano e Adriano, lavori di studiosi e ricercatori sull’archeologia del territorio e tanto ancora. Devo dire, inoltre, che la rete mi ha aiutata molto. I portali italiani, americani e tedeschi sui papiri e sulle epigrafi, sono stati una fonte preziosa anche per dare nome ad altri personaggi che intervengono nella storia da me raccontata. Così, ad esempio, partendo da un’epigrafe funeraria ritrovata presso la necropoli di Cappella, ho raccontato di un altro marinaio, Tiberio Claudio Febo, che si arruolò nella flotta all’età di soli sedici anni.

Ci parli del contributo dell’egittologa Paola Davoli dell’Università del Salento, che ha curato la postfazione…

La professoressa Davoli è un’egittologa esperta del Fayyum, le cui pubblicazioni sono state di enorme supporto per la descrizione del lavoro della squadra di archeologi, ai quali nel romanzo affido la scoperta dei papiri. Nella sua postfazione, l’egittologa fornisce informazioni utili sulla storia delle città ellenistico-romane dell’Oasi, tra cui Philadelphia, la città di Apione. Molte di queste città hanno subito, tra la metà dell’ ‘800 e gli inizi del ‘900, pesanti distruzioni da parte dei cercatori di sebbakh, materiale organico ricavato dai mattoni delle case e dei templi antichi che i contadini riutilizzavano come fertilizzante per le nuove piantagioni di cotone. Per fortuna egittologi e papirologi inglesi e tedeschi hanno salvato migliaia di papiri che hanno consentito di conoscere e capire una società multietnica, quella dell’Egitto dei Tolemei e dei Romani.

A questo primo romanzo pensa che ne seguiranno altri?

Non nascondo che ho in mente di scrivere un secondo romanzo su questo personaggio reso immortale dalle sue lettere. Nel “Viaggio di Apione” ho lanciato degli spunti ai quali spero di potermi agganciare al più presto.

Massimiliano Longobardo

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Massimiliano Longobardo
Massimiliano Longobardo
Giornalista pubblicista iscritto all'ODG Campania, è dottore di ricerca in filologia classica e insegnante di latino e greco, nonché atleta master di nuoto per salvamento. Settori di interesse: territorio flegreo, teatro, scuola e istruzione, nuoto e discipline acquatiche.
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