giovedì, Aprile 18, 2024
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I Capolavori siamo Noi

Una sera tornando a casa mi fermo in libreria e la proprietaria, amica carissima, mi dice: “Ti andrebbe di venire al cinema stasera?” “No, grazie”, dico io, “Sono stanca. Un’altra volta.” Le domando: “Cosa vai a vedere?” “Un film che ho già visto”, dice lei, “E che adoro!” Incuriosita sto per chiederle notizie quando entra un uomo e lei con entusiasmo: “Ecco il regista del film.” Me lo presenta, scambiamo alcune impressioni e io prometto che sarei andata a vedere il film nei giorni successivi, appena mi fosse stato possibile. Ovviamente ho mantenuto la promessa.

“I capolavori siamo noi” diceva Carmelo Bene, a me sembra che Luigi lo sia e il film “Un mondo in più” sia il risultato del capolavoro che lui è.

Non vorrei citare troppo Carmelo Bene che aveva la sua visione del cinema, del teatro, della vita e dell’essere umano, indiscutibilmente inusuale.

Luigi Pane è nato a Sorrento e si è laureato in storia e critica del cinema con una tesi su Stanley Kubrick. Nel 2015 ha girato “Black Comedy”, un cortometraggio molto apprezzato in Italia e all’estero. Nel 2017 ha scritto e diretto il suo secondo corto, “L’Avenir”, una storia d’amore e di generazione ambientata nella notte degli attentati a Parigi del 2015. 

Nel 2020 è stata la volta del terzo cortometraggio, “Quasi Ora”. 

E arriviamo a oggi con “Un mondo in più”. Non vi racconto la trama perché basterà che andiate al cinema a vedere il film, quando sarà possibile. 

A proposito Luigi quando sarà possibile? 

Questa è una domanda un po’ spinosa perché oggi è molto più difficile farli vedere che non farli i film.

Noi abbiamo avuto la prima alla Festa del Cinema di Roma, a ottobre, ed è stato un grande successo di pubblico, il film è piaciuto moltissimo, però ha avuto una distribuzione piccola, molto limitata, solamente nelle grandi città. Ci hanno salvato molto le sale d’essai: lo spazio “Alfieri” a Firenze, il “Vittoria” a Napoli, il “Cinemino” a Milano, il “Farnese” e il “Cinema delle provincie” a Roma. 

Per le opere prime, soprattutto per un cinema che vuole essere un po’ più autoriale, il percorso nelle sale è limitato, a meno che non sei prodotto da una grandissima casa di produzione e comunque non è una garanzia.

Quindi, quando sarà possibile vederlo? Non lo so. Spero presto. Siamo ancora in giro per molti festival in Italia. Poi ci saranno altri festival in giro per il mondo. Siamo stati in un festival in Francia, però come ti dicevo la diffusione vera e propria nelle sale credo si sia limitata a questo.

Si vedrà in autunno il percorso naturale che è poi di questi film: lo streaming, le piattaforme come Netflix, Amazon, RaiPlay che a mio avviso è un’ottima piattaforma, anzi spero che vada lì. Perché così è visibile a tutti senza abbonamenti e senza dover sottoscrivere nulla.

Il cinema oggi in Italia questo è. Difficile dirlo ma è questo.

Quello che a me fa rabbia è quando si dice che il pubblico non va più al cinema, e che il cinema va male perché le persone non vanno più al cinema. Questa è una cosa completamente sbagliata, secondo me.

Rispetto alla situazione che hai descritto non credi che forse sarebbe opportuno avere il distributore prima di iniziare le riprese? Così da decidere se realizzare o no un film, che non potrà essere visto nelle sale. Si risparmierebbe tempo, energia e denaro. No? 

La prassi di solito è quella, ma non sempre accade.

Dovremmo girare la domanda ai produttori e ai distributori.

In sostanza un film viene prodotto, partecipa a vari festival, ottiene premi, ma soltanto pochissime persone lo vedono. 

Poi tutti a casa e ricomincia il girone dei premiati e rigorosamente poco visti? Perché secondo te? 

È una situazione difficile un po’ per tutti e per i film piccoli lo è ancora di più.

Spero che il post pandemia possa essere l’occasione giusta per provare a ridiscutere sul sistema distributivo in Italia, nelle sale soprattutto, perché la fruizione del pubblico è cambiata e già prima c’era, no una disaffezione, ma una flessione del pubblico nella sala cinematografica e la pandemia ha accelerato il distacco delle persone dalla sala per quanto riguarda tutta una serie di prodotti, poi però c’è anche da dire che arriva Tom Cruise e fa cifre record in estate, quando tutti dicono che al cinema non ci vanno più.

Quindi il problema potrebbe essere di comunicazione?

Il problema potrebbe essere che forse la sala sarà destinata solamente al grande evento internazionale?

Forse ci vorrebbe un sistema distributivo più di nicchia per i piccoli film in sale diverse? Non lo so.

Certo è che qualcosa va fatto, perché se vogliamo mantenere ancora vivo il cinema in sala, il discorso distributivo va rivisto. Se poi, invece, c’è una volontà di portare tutto sulle piattaforme allora probabilmente il futuro sarà quello, però anche lì, sulla piattaforma, secondo me, ci vuole un po’ di ordine, comunque il pubblico deve essere orientato a vedere un determinato film piuttosto che un altro, sennò la piattaforma diventa un enorme calderone dove comunque il pubblico è disorientato e certi film, più d’autore, poi alla fine non li va a vedere.

Nel film, c’è un omaggio a Pasolini. 

Pare che per Pasolini il cinema fosse come una febbre e per te Luigi, com’è?

Per me è come diceva Bertolucci: “È una magnifica ossessione”.

Tra l’altro, scusami se ti interrompo, ti avevo detto, non so se ricordi, che dalle prime inquadrature avevo pensato a Bertolucci.

Sì, è quello che considero il mio maestro ideale.

Io non vengo da una famiglia che fa cinema. Sono una persona a cui il cinema è arrivato con una passione travolgente e inaspettata. Quindi quando non si hanno maestri, quando non si vive in un ambiente di cinema, non si può fare altro che inventarsi i propri maestri, prendere quelli che piacciono di più, studiarli e far sì che, in qualche modo, essi facciano un po’ parte della propria vita. Questo a me è capitato con Bertolucci, ma già ai tempi dell’Università. È un regista che mi ha profondamente colpito in moltissimi suoi film, come tratta alcuni temi: la crescita, come trovare il proprio posto nel mondo, che sono poi quelle storie molto più affini a quello che racconto io.

Anche “Un mondo in più” è un percorso di crescita, come lo era “L’Avenir”, il cortometraggio che ho girato a Parigi. 

La realizzazione di un film porta con sé non solo i talenti, ma in alcuni casi tanti  grovigli e vicissitudini. A volte per finanziare un film, a certi livelli, vengono imposti, dalla produzione, i protagonisti. Pare che sia accaduto perfino a Stanley Kubrick con il suo film “Eyes Wide Shut”. Cosa ne pensi Luigi? 

Devo dire che questo problema non l’ho mai riscontrato nella mia esperienza, né su di me quando ho girato i corti e il film, assolutamente no, né conosco amici, colleghi che, hanno fatto anche più di me, abbiano avuto imposizioni a livello di casting.  

Può essere che possa accadere in televisione, nelle grandi fiction, che magari si prediliga un volto, non tanto per il talento dell’attore, ma quanto perché debba funzionare in video. 

Credo che sia un vecchio modo di fare cinema, che appartenga a un sistema antiquato e che oggi non ci sia più, anzi in molti film d’autore si prediligono i volti nuovi. 

E tu l’hai fatto! 

Sì, con il protagonista sì. Abbiamo cercato un attore che fosse alla sua prima esperienza, che non avesse fatto nulla, perché volevo che nessuno avesse mai visto Diego, il protagonista del film, e che fosse una scoperta un po’ per tutti. Volevo che lui non fosse riconducibile a nessun’altra cosa già vista. 

E poi è bello lavorare con attori esordienti, a me piace veramente tanto, certo ho costruito poi intorno a lui, a Francesco Ferrante il protagonista, un cast di altissimo livello che sono onorato abbiano accettato di fare il mio piccolo film, parlo di Francesco Di Leva, Renato Carpentieri, Denise Capezza. Per me questo è stato motivo di grande orgoglio. 

Era già mia intenzione dall’inizio, da quando scrivevo la sceneggiatura, che il protagonista doveva essere un volto nuovo, una scoperta.

Nel tuo film da una parte c’è tanta vita turbata dalla violenza, dai pregiudizi, dal razzismo, dalla paura, dalle incomprensioni e dall’altra parte c’è l’amore, l’amicizia, i rapporti genitori e figli, come in questa nostra breve vita. 

Cosa vorresti si dicesse del tuo film che ancora non è stato detto? 

Devo dire che, a dispetto della piccola distribuzione nelle sale, del film ne hanno parlato tantissime riviste, sono usciti moltissimi articoli. 

Sono contento perché il film è arrivato in tutta la sua essenza, ti posso dire che mi piace di più quando c’è chi capisce che questo è un film di formazione, è un film che racconta una crescita, è un film di sentimenti, è un film di restaurazione, di periferie, di cuori e di anime. 

Questo è il film. 

C’è un piccolo elemento di genere crime, perché c’è anche la malavita che aleggia sulla storia di questo film. 

E non mi piace quando molti sottolineano solamente questo fatto: “È un film noir, è un film crime, è un film di camorra”, assolutamente no! 

Mi dispiace che sia passato questo tipo di messaggio, perché non è così. 

Il genere che c’è nel film è solamente una piccola digressione, perché fa parte comunque della nostra vita, ma il fuoco del film non è assolutamente quello lì. 

Quindi mi piace quando viene colto di più l’aspetto generazionale di crescita del film, in un mondo dove oggi trovare il proprio posto, nel mondo appunto, diventa sempre più difficile. 

Quando passa questo sono contento, e non quando si dice: “È un film di gangster”, come qualcuno ha detto. 

a cura di Maria Grazia Grilli

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Redazione StreetNews.it
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