Gli ultimi lavori di Maurizio Erto su antifascismo a Pozzuoli, Ugo Giugnarelli e Ferdinando II

Lo studioso di storia flegrea introduce i risultati dei suoi lavori pubblicati dall’editore D’Amico.

L’ultimo nostro incontro con il prof. Maurizio Erto risale al settembre 2020, in occasione della presentazione dell’opera in due volumi Pozzuoli 1970-2020. A cinquant’anni dallo sgombero del Rione Terra, da lui curata e pubblicata dalla casa editrice D’Amico (clicca: qui). L’opera contiene approfondimenti di ordine storico-documentario sul Rione Terra di Pozzuoli, nonché una collezione di scatti, in gran parte inediti, del quartiere nella fase dello sgombero coatto avvenuto nel 1970. Nel frattempo sono state date alle stampe altre tre pubblicazioni del ricercatore. Per la “Collana Flegrea” dell’editore D’Amico, di cui Erto stesso è direttore, L’antifascismo a Pozzuoli e nell’area flegrea: forme di dissenso politico e sociale durante il ventennio fascista (2020). Sempre con lo stesso editore: Ugo Giugnarelli. Storia di un combattente 1943-1945. La guerra civile in Italia attraverso il racconto di un protagonista (2021); L’avvelenamento di Ferdinando II. Storia controversa di un attentato politico tra propaganda borbonica e filoliberale (2022). Ne abbiamo voluto parlare con lo studioso, per conoscere i risultati delle sue recenti ricerche.

Prof. Erto, il saggio pubblicato alla fine del 2020 potrebbe considerarsi la prima sistematica ricostruzione della storia dell’antifascismo a Pozzuoli? Quali sono le figure-chiave che emergono tra i dissidenti del regime mussoliniano in area flegrea?

A parte alcuni saggi pionieristici del prof. Antonio Alosco, nessuno studio aveva finora indagato la storia dell’antifascismo a Pozzuoli e nei comuni flegrei, mancanza davvero inspiegabile se si pensa che l’intera area vanta una lunga tradizione operaia e socialista, legata soprattutto allo stabilimento Armstrong, inaugurato nel 1886 e in grado di impiegare nel periodo di massimo sviluppo circa 10.000 operai. Non a caso, fin dall’autunno del 1922, le azioni delle squadre fasciste furono particolarmente violente nei comuni flegrei e, più tardi, i respingimenti da parte del Fascio puteolano alle domande di iscrizione al Partito Nazionale Fascista furono in numero nettamente superiore che in altre parti della provincia di Napoli. Tre sono le principali figure di antifascisti, di cui ho ricostruito la biografia attraverso documenti provenienti da archivi storici e collezioni familiari e private. La prima è quella di Enrico Vellinati, sindacalista, fondatore della Camera del Lavoro di Pozzuoli, di cui fu segretario fino al 1923, più volte arrestato e costretto a emigrare negli Stati Uniti in seguito alle persecuzioni fasciste. Nel dopoguerra sarà consigliere comunale del PCI e due volte sindaco di Pozzuoli, nel 1961 e nel 1964. La seconda è quella di Giovanni Marino, tra i fondatori della Sezione comunista di Pozzuoli, condannato nel 1930 a cinque anni di confino e, dopo la fine della guerra, impegnato nell’attività politica come consigliere comunale e nel sindacato. La terza è quella di Arturo Picariello, comunista, arrestato e condannato al confino di polizia a Lipari insieme a Marino. Tutti questi personaggi hanno sempre agito coerentemente con i propri ideali, pagando in prima persona la loro militanza politica. Ma non vanno trascurate le rispettive mogli e madri, che spesso furono coinvolte direttamente nelle vicende giudiziarie di questi uomini, dimostrando un coraggio fuori dal comune. In appendice al libro si può leggere il diario della moglie di Marino, che fornisce una visione tutta al femminile dell’impegno politico del marito.

Rimanendo sullo stesso periodo storico, in particolare nella fase finale del secondo conflitto mondiale, lo scorso anno lei ha pubblicato il diario di Ugo Giugnarelli, soldato modenese che militò in divisioni volontarie della Repubblica Sociale Italiana. Ma anche qui c’entra Pozzuoli…

Il diario-memoriale di Ugo Giugnarelli è un documento finora inedito che racconta la scelta fatta dopo l’8 settembre 1943 da un giovanissimo soldato fascista, che combatté prima al fianco dei tedeschi in milizie volontarie, poi in vari reparti dell’esercito della Repubblica Sociale Italiana, costituita da Mussolini poco dopo la sua liberazione. La particolarità del memoriale è che il testo fu originariamente dettato, sotto forma di audio-intervista, proprio a Pozzuoli, pochi mesi prima dello sgombero del Rione Terra, dove Giugnarelli si era stabilito dalla fine degli anni Cinquanta, sposando una puteolana. Nel libro si trovano numerose lettere, documenti e foto fornitemi dai figli del soldato, i quali abitano ancora nella città flegrea. La stesura del saggio introduttivo al diario è stata per me un’esperienza molto istruttiva sulla necessità di indagare i fatti storici da prospettive diverse, utilizzando tutte le fonti a disposizione e rifuggendo da condizionamenti ideologici. Lo scritto di Giugnarelli rappresenta un punto di vista “fascista” sulla guerra civile combattuta in Italia nel 1943-1945, cioè la voce di un “vinto”, che ai fini di una ricostruzione storica equilibrata non ha meno valore delle testimonianze fornite da partigiani e giovani antifascisti.

Arriviamo all’ultimo saggio. Le cause della morte di Ferdinando II di Borbone, avvenuta il 22 maggio del 1859, alla vigilia dell’impresa dei Mille, che portò alla caduta del Regno delle Due Sicilie, sono circondate da un alone di mistero, poiché le fonti, in proposito, non sono concordi. Quanto a suo avviso è verosimile la teoria “complottistica” di un avvelenamento e, in sintesi, che uso ne fu fatto a fini propagandistici?

A partire dalle celebrazioni relative ai 150 anni dell’Unità d’Italia, è tornata in voga l’ipotesi che Ferdinando II, penultimo sovrano del Regno delle Due Sicilie, sia morto non per malattia, ma per avvelenamento, cioè in seguito a un attentato. Tutti capiamo le implicazioni di una simile ipotesi: l’Unità d’Italia sarebbe stata preparata con metodi terroristici e sovversivi. Al riguardo esistono due principali tesi. La prima sostiene che la morte del re sarebbe conseguenza della ferita inflitta al sovrano dal soldato Agesilao Milano nel noto attentato del dicembre 1856. Tale tesi, diffusa soprattutto negli ambienti neoborbonici, non solo è smentita da fonti coeve, citate nel libro, ma si basa sull’assunto inverosimile che il veleno, di cui era ipoteticamente intrisa la baionetta, abbia prodotto i suoi effetti ben due anni e mezzo più tardi. Nel libro, invece, mi sono concentrato sulla seconda tesi, secondo cui l’avvelenamento sarebbe stato compiuto dal vescovo di Ariano monsignor Michele Maria Caputi, in occasione di una sosta di Ferdinando II in Irpinia. Oltre a ricostruire l’intero viaggio intrapreso dal re nel gennaio del 1859, in occasione delle nozze del figlio Francesco, ho passato in rassegna la documentazione relativa a monsignor Caputi e le principali opere storiografiche del periodo. Il libro contiene per la prima volta un’antologia delle fonti che attestano l’ipotesi dell’attentato. A mio parere, Ferdinando II non fu avvelenato; tuttavia tale ipotesi si rivela interessantissima per capire le dinamiche del lungo scontro che liberali e filoborbonici combatteranno ben oltre il periodo post-unitario, addirittura fino ai primi del Novecento.

Massimiliano Longobardo