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FARE ARTE IN MODO LIBERO E SENZA LIMITI: PIETRA MONTECORVINO RACCONTA IL SUO MONDO ATTRAVERSO LA MUSICA E LA PITTURA.

L’occasione per intervistare Pietra Montecorvino si presenta allo Janare Folk Festival di Chianche (Av), dove l’artista poliedrica ha inaugurato la propria mostra di pittura. All’anagrafe Barbara d’Alessandro, scelse il nome d’arte in onore di una località del Sud Italia, proprio a rafforzare il suo amore per le tradizioni popolari del Meridione. Dal 1982 ad oggi ha prodotto ben 10 album e partecipato a 9 film, tra i quali Passione, di John Turturro e Napoli velata di Ozpetek. Tra i tanti successi, la partecipazione a Sanremo in coppia con Peppino di Capri con il brano Favola Blues, nel 1992. Prevalentemente cantante, è anche pittrice: la sua mostra, intitolata “Pietra”, narra l’universo femminile, con colori e linee accattivanti, molto vicina allo stile astratto e naif, e notevoli somiglianze alle pennellate di Picasso. E’ cordiale e disponibile, ma i suoi occhi raccontano una vita fatta di scelte autonome senza compromessi, che hanno costituito anche ostacoli, lei li definisce “sacrifici”, ma che hanno contribuito a formarla per quello che è ora, a distanza di circa 40 anni dal suo esordio nel mondo dell’arte.

La mostra di pittura intitolata “Pietra”

Qual è la tua visione di arte Folk e quanto vale per il Meridione d’Italia?”

Penso che l’arte abbia tante sfumature, può essere Folk, Africana, ma rimane sempre Arte. Si basa su istinto e ricerca; quando è arte vera, io la definisco arte buona. Penso che al Sud come al Nord e ovunque, l’arte non abbia bandiere o limiti. Ha lo stesso valore dappertutto.”

Nel tuo fare arte, spicca un profilo molto Meridionale: i testi, il modo in cui sviluppi i tuoi lavori. L’arte folk in particolare, sopita per decenni, solo in pochi casi (come nel tuo) è stata portata avanti; altri hanno deciso di spostarsi in dimensioni più commerciali e redditizie ed uscire quindi dalla “nicchia”: tu sei rimasta nel tuo mondo. Sei contenta delle tue scelte? Avresti voluto, o vorresti, sperimentare altri contesti?

Sono stata contenta perché sono riuscita a vivere anche la sofferenza dell’arte, che è fondamentale. Oggi, come vediamo spesso, otteniamo tutto in due minuti ed è un grande danno, perché non c’è una crescita interiore; l’artista ha una responsabilità, rappresenta a suo modo dei momenti fondamentali e se non ha vissuto sofferenza non ha punti di riferimento. Sono contenta di quanto ho creato in passato e penso che sia arrivato il momento di prendermi spazi diversi: devo condividere con quante più persone possibile tutto quello che ho costruito e quindi sto puntando a qualcosa di più ampio. Ma sempre a modo mio, me lo posso permettere.”

L’album Rigina del 2019 e il singolo Je suis amour, lanciato qualche giorno fa, propongono due stili molto diversi…

In questo singolo, che anticipa l’album imminente, ho rappresentato me stessa, non solo nella musica ma anche nella pittura. Anche in questo caso, la dedica è alla donna: può sembrare una canzone leggera, un tormentone (magari!) ma passa un  messaggio molto forte, che spero venga condiviso su ampia scala proprio attraverso l’apparente leggerezza del brano.”

Torniamo un attimo indietro e parliamo di Rigina: è un album che colpisce molto, per la profondità delle tematiche collegate all’universo femminile. Tu l’hai realizzato da sola oppure hai collaborato con Associazioni o Istituti che si occupano di queste problematiche?

Io sono libera, non ho fatto collaborazioni di questo tipo. In me prevale il senso di giustizia, non è una questione donna-uomo o diritti o altro. Anzi, penso sia il momento che siano proprio gli uomini a ribellarsi a quella parte di loro che non fa crescere l’uomo come essere. Come ha bloccato la donna in passato, l’uomo ha bloccato anche se stesso, mentre ci doveva essere una crescita insieme, dato che l’uno completa l’altra. Per adesso non sono legata a nessuno, ma farei questo tipo di collaborazioni se dovessi ritenerle utili per trasmettere il più possibile il mio messaggio.”

Un’ultima domanda: per te, il termine stereotipo che senso ha?

Per me è una noia. E’ una visione “terra terra” ma nel nostro mondo non esiste solo la terra, esiste anche il cielo. Io punto al cielo: la fusione tra terra e cielo è fondamentale. Entrare in un clichè in cui tutto è definito, tutto ha un nome, non è uno scenario che mi appartiene; io canto il Sud e sono in qualche maniera una bandiera del Sud, ma il mio scenario ideale è il mondo, non vivo di schemi. Certo, il Meridione ha sofferto di più ed ha maggiore voglia di riscatto, ma il mio scenario ideale è il mondo. L’arte costituisce libertà e a tutti serve, in un modo o in un altro, la propria libertà.

A cura di Clemente Scafuro

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Redazione StreetNews.it
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