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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Frontiere, Fuentes de Oñoro – Spagna/Portogallo.

Corro. Corro molto rapidamente nell’eco silenzioso della stazione di Chamartìn, con il mio zaino e la mia tastiera in mano, ed una busta di cartone con il fabbisogno per il viaggio, in treno notturno, che valicherà la frontiera, Spagna/Portogallo passando per Fuentes de Oñoro. Corro, corro molto velocemente perché non mi ero reso conto che, il mio treno notte non partiva da Atocha, la stazione centrale di Madrid ma, bensì, da Chamartìn e così corro particolarmente affannato ma, lo raggiungo sul fischio finale del capotreno che, fischietto in bocca e mano dentro il treno si sporge per l’ultimo sibilo animato. Salto letteralmente sul primo vagone che ho a portata di gambe e, sono dentro.

L’atmosfera senza tempo, la pacatezza immobile della moquette, la staticità del legno delle porte, la mobilità della plastica dura delle cabine che cigola all’ondeggiare sonnolento del treno nel suo uscire dalla stazione ed il profumo caldo di lavanderia, mi danno il benvenuto a bordo. Hasta pronto Madrid! Ci vediamo presto, da queste parti. I treni notte mi hanno sempre ammaliato, ammutolito e messo allegria. La loro storia, il loro andare silenzioso nelle notti d’Europa, nelle nazioni, le città ed i paesini. Accogliendo il sonno, i sogni, gli incubi di milioni di passeggeri. Passeggeri lenti, senza fretta, turisti rispettosi o fuggitivi alla ricerca di tranquillità, una vita migliore o nuove avventure. Scrittori alla recuperazione della loro ispirazione, delle parole perdute in qualche cuore spezzato, in qualunque vita familiare stretta o troppo larga. Da fuori scorre rapida la notte, le sue intenzionalità, le sue baldorie.

Sono perso, non so il numero della mia cabina singola, tantomeno il numero del vagone in cui mi trovo così, rimango fermo nella penombra solidale dello spazio antecedente al bagno, nell’attesa del capotreno che, mi ha visto salire e che sicuramente verrà a cercarmi per chiedermi il biglietto, il documento di identità ed accompagnarmi alla mia cabina. Arriva. “Buonasera, benvenuto a bordo. Biglietto e documenti gentilmente”. È amabile, nella sua divisa color blu cobalto, sotto la visiera rigida del cappello nasconde gli occhi assonnati dei viaggi e del andirivieni costante del suo lavoro. Verifica la veridicità dei miei documenti e mi riconsegna la carta di identità ed il cellulare sul quale è salvato il biglietto. Lo seguo con tranquillità, assecondando i suoi passi senza fretta. Mi apre la porta della mia cabina. È più spaziosa di quello che credessi. Ha un letto singolo, un grande specchio, un lavandino ed un piccolo kit da viaggio ed il grande finestrone che da, sul movimento del treno e le tende verdognole per coprire le luci delle stazioni nelle quali entreremo passo passo per raccogliere persone o farle scendere. Mi fa vedere come posso chiudere da dentro la porta per una maggiore sicurezza e si raccomanda, seppur il treno è un posto tranquillo e sorvegliato di non lasciare cose di valore in cabina quando, ad esempio, dovrò andare in bagno che si trova fuori, nella parte principale. Mi saluta e si perde nei vagoni. Chiudo la porta, mi sistemo, mi tolgo le scarpe e mi siedo sul letto. È davvero comodo, ai piedi è posizionato il piumone bianco ed un cuscino avvolti in una plastica abbastanza rigida, li spacchetto. Rimango in slip. Prendo il taccuino Arbos verde e la matita, mi risiedo osservando il finestrone. Tutto scorre armonico e perfetto lì, lì fuori, tra i binari, i lampi di luce solitari. Scrivo un paio di pensieri.

Veloce scorre

il tempo al di là

del vetro

lampi di verde

macchie e spruzzi

di giallo e blu

scorre inesorabile

sincero e muto

pieno di luce

e colmo di vita

linee parallele

linee orizzontali

quante vite magnetiche

fuori di me

Mi addormento direttamente sul materasso e sul lenzuolo bianco. Il quadernino scivola in terra tuffandosi dalla mia mano ai piedi della struttura, insieme alla matita che, rotola allegra ed indisturbata sulla moquette, ondeggiata dalle fluttuazioni costanti del treno. Passano un paio di ore quando sento freddo, mi sveglio e mi copro, scartando, prima, il pacchetto con il piumino bianco e poggiando finalmente la testa sul cuscino. Molto meglio, molto più comodo. Minuti di sogno e sonno. Una frenata abbastanza brusca mi desta, guardo fuori, siamo in una stazione, la stazione di Fuentes de Oñoro, guardo l’ora, sono quasi le 4:00 del mattino. Frontiere. Luoghi incantanti, quasi fermi nel tempo. Soglie di molti sogni infranti, distrutti o felicemente compiuti. Delle voci borbottano fuori. Esco dalla mia cabina, indossando prima il pantaloncino della tuta nera ed una t-shirt. Non ho né freddo ne caldo, sento solo curiosità, così apro la porta scorrevole della cabina e mi sporgo leggermente da uno dei finestroni del vagone…

a cura di Michele Terralavoro

https://www.instagram.com/micheleterralavoro/

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Redazione StreetNews.it
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