venerdì, Marzo 29, 2024
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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Cascais. Cabo de Roca.

Mi sveglio accarezzato dai raggi del sole che, sbirciano assopiti attraverso le fenditure della tapparella in legno, consumata dalla salsedine che vi ci imbatte, ogni giorno. Il dì promette grandi cose. Il cielo è terso, nessuna nuvola all’orizzonte, il vento soffia leggero dall’oceano. Mi lavo il viso, i denti, mi sistemo rapidamente, con la mano bagnata, i capelli ricci e increspati dal mare, organizzo lo zainetto giallo con l’occorrente basico per affrontare una giornata di esplorazione. Crema solare 50+, il mio taccuino verde, la matita, il telo mare, gli occhiali da sole e ci siamo. Scendo le scale che mi portano dalla mansarda all’appartamento principale, non c’è nessuno ed esco di casa. Direzione Cabo de Roca, dove si trova il famoso faro, il punto più a occidente d’Europa. Il GPS mi dice che impiegherò all’incirca 25/30 minuti in motorino. Comprate un paio di cose da mangiare e un po’ di acqua, parto. Cabo de Roca arrivo.

Il percorso è in salita, passo sulla statale “del mare”, lo osservo, ed inizio a salire percorrendo differenti curve immerso in una vegetazione florida. Passo davanti ad un mini-paesino, ci saranno all’incirca cinquanta casette sparse e colorate, non di più. Lo perlustro rapidamente con il mio motorino. È carino, raccolto, sincero. Continuo il mio viaggio. Iniziano curve molto più strette ed il vento comincia ad essere più forte ed intenso, stringo le mani al manubrio, cerco di mantenere una velocità costante per non perdere l’equilibro quando, ecco l’indicazione per Cabo de Roca ed il suo faro. Lo vedo in lontananza, si vede minuto e rosso. Il cielo sembra più azzurro. Parcheggio il motorino e percorro il sentiero fino a giungere ad un dirupo. S’apre il promontorio con le sue scogliere a picco su cale e calette dall’acqua limpida e cerulea. È altissimo e non ci sono protezioni. Il faro comanda dall’alto della sua collinetta, il mare, l’oceano Atlantico che si infrange sugli scogli e le rocce sottostanti.

È uno spettacolo abbacinante, abbagliante, unico, sincero e struggente. La forza della natura, la spuma, i gabbiani che planano, apparentemente immobili sostenuti dal vento, sul dirupo. La fine del Mondo è qui a Cabo de Roca. Se guardi bene quella scogliera color arena, che muove il mare, e poi fissi l’orizzonte, te ne puoi benissimo accorgere e render conto. Le indie non si vedono da qui. Dal faro, guardando dritto davanti a te, si scaglia immortale l’infinito, ed io mi ritrovo a piangere e sorridere allo stesso tempo. Non riesco a trattenere le lacrime ed il sorriso davanti al tutto che si apre, si espande, davanti a me, ed è già. Davanti a questi faraglioni che re e regine sovrani, sovrastano l’eternità. Si danno la mano. L’oceano non potrebbe esistere senza queste rocce sulle quali finire, e le rocce non sarebbero qui senza l’oceano che testardo vi ci sbatte contro. Qui è il punto in cui oceano e rocce finiscono, fanno l’amore e diventano un noi senza respiro, e questo mi commuove. Selvaggio, poeta malinconico, pagliaccio, stoico, eroe ed assassino, orafo e falegname Oceano. Mi rasserena tutto questa inquietudine e movimento. Mi rasserena la consapevolezza di essere piccolo. L’immobilità tenace e viva della scogliera, l’impressionate immobilità della felicità. Resto lì un paio d’orette.

Mi avventuro nel sentiero che si trova al lato del faro, inizio a scendere verso una delle cale, in mare alcuni faraglioni si ergono. La discesa non è facile, è di terra e abbastanza scivolosa, mi si riempiono le Superga bianche di un mix di terra e sabbia. Mi sorreggo ogni tanto a qualche arbusto o qualche roccia che sporge sulla parete. Non c’è nessuno. Arrivo sulla spiaggia, la sabbia è soffice, una mescolanza di terra rossa e conchiglie sgretolate. Dall’alto sembrava piccola ma da dentro è abbastanza grande. Poso lo zaino, mi tolgo e pulisco le scarpe, mi sfilo la maglietta ed il pantaloncino che copre il mio costume da bagno, slip, celeste e mi dirigo verso l’acqua. È gelida, tagliente ma stupenda, così, senza pensarci troppo mi immergo. La corrente è forte quindi sto attento a non andare troppo distante dalla battigia. La sensazione di gelo, si converte rapidamente in una sensazione magnifica. Sento il corpo lottare per riscaldarsi e alzare la temperatura. Rimango lì qualche minuto. Quando esco percepisco un calore che parte dal petto fino a ricoprire tutto il corpo. Non mi asciugo, lascio che il corpo si auto sistemi. Passeggio un po’ sul bagnasciuga, scatto qualche foto e nel frattempo vedo discendere un paio di persone. Addento il “pastelito” di verdure che avevo comprato in precedenza, chiudo gli occhi, assaporo ogni istante di questo momento.

Sono qui, in questo struggente angolo di paradiso, con i piedi che lambiscono l’acqua, ed il vento leggero che, sfiora i miei capelli pieni di sale, arricciati dall’estate. Che sapore ha la felicità? Probabilmente salato.

osservo, vedo e sento

trombeggianti strimpelli

salto, rido e mi getto

rotondeggianti silenzi

felice, di una gioia,

senza tempo né orari

in binari percorro

le vie dei mari

nel salato azzurro

e turchese m’immergo

e riaffioro rinato,

in una spensierata risata

a cura di Michele Terralavoro

https://www.instagram.com/micheleterralavoro/

https://linkbe.me/Michele.Terralavoro

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Redazione StreetNews.it
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