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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Cascais. Abbacinante ed unica.

Discendo le scale con una felicità saltellante, dalla mia mansarda dove posso ascoltare l’oceano, mi dirigo verso il motorino, cinquanta, che ho da poco noleggiato, nell’ufficio del porto turistico. Profuma di immensità l’aria, qui, a Cascais. Apro il portone e mi investe il suo odore. Nelle prossime vicinanze dell’appartamento ci sono una cartolibreria, un fruttivendolo che fa anche colazioni, croissant, panini, un di tutto un po’ romantico, paesano. Un ristornate cinese all’angolo con uno di quei gattini che muovono avanti e indietro la manina col pugno chiuso, dorati, abbastanza orribili e pacchiani per i miei gusti, ma verrò a cenare sicuramente qui, mi piace molto la cucina orientale. Innesco il motore del cinquanta con un leggero giro verso destra, dopo aver riposto lo zainetto sotto il sellino, ed essermi messo ben bene il casco. Si parte.

Qui vicino è colmo zeppo di scogliere, promontori, grotte, scolpite dalla onde, la salsedine, la spuma dell’oceano Atlantico che vi sbatte contro imponente e maestoso, creando le meraviglie che possiamo ammirare oggigiorno. Dopo un paio di curve raggiungo la statale che costeggia l’Atlantico. È impressionante. Muto. Avvolto dal vento e dal mistero della vita. Chissà, penso, in un’altra vita sicuramente era un marinaio. Una lacrima di felicità scorre rapidissima sulla mia goccia incagliandosi sul laccio in tessuto del casco, è salva. Guido attento alla strada, non ci sono quasi macchina, qualche camper o van attrezzato di tanto in tanto, un paio di hotel erosi dal tempo. alla mia destra dune di sabbia, vegetazione, cactus e piante grasse di ogni genere e qualche villa incastonata nelle rocce, a sinistra invece, si estende e si stende Nettuno col suo mare. È blu, non vedo la spiaggia, la sabbia perché è più in basso e non riesco con la mia vista. Tira vento e scuote la mia camicia semi aperta, alza la sabbia che investe e ricopre parte della strada, qualche onda la ascolto infrangersi sulla riva. Accosto in un piccolo parcheggio dove stazionano anche un paio di Van ed alcune motociclette. Mi tolgo il casco, lo ripongo e mi dirigo verso l’acqua. Un bambino grida alla mamma in portoghese “aqui que nasce o vento” e penso che abbia ragione, il vento soffia verso di noi.

La sabbia è calda, soffice, estremamente bianca e morbida. Ci cammino con piacere e quasi sulla battigia lascio cadere il mio zaino e la camicia floreale, la lego alla sacca e vado rapido verso l’acqua. È abbastanza fredda. Cristallina, azzurra, pulita. Mi ci immergo e tutto si ottura intorno a me, le mie orecchie sentono solo l’echeggiare delle conchiglie che si sfiorano l’un l’altra, in una danza sincronica. Posso udire le onde passare sopra di me. Riemergo, passo la mano sulle mie palpebre per togliere l’acqua rimasta lì, apro gli occhi. Grazie per tutto questo. Rimango lì un tempo indeterminato, non sento né caldo né freddo, neanche fame o sete, tutto è. Salgo attraverso un altro cammino, risalendo una piccola scogliera, arrivo alla cima e moltissime rocce abbastanza appuntite sono lì sdraiate a prendere il sole. Cammino per un pochino facendo attenzione a non cadere o farmi male. Mi fermo, osservo intorno a me e sento un eco forte, come un ululato, mi giro e osservi con più attenzione, ma non vedo nulla. Faccio un paio di passi in più e dinanzi a me delle specie di scale discendono sotto questo manto di roccia grigia. Decido, non senza un po’ di timore di avventurarmi lì sotto. Cellulare ben stretto nelle mani e chiavi del motorino nel taschino del costume da bagno. Discendo lentamente guardando bene ogni cosa, dietro e davanti a me. Arrivo ad una grotta, abbastanza grande, mi sorprendo, trovo una sorta di mini-spiaggia con sabbia, acqua ed una piccola fessura laterale, come una lampadina permette l’entrata di qualche raggio di sole che rischiara il tutto. Anche qui l’acqua è limpida, ma non è così fredda. Il rumore di un’onda anticipa l’arrivo di altra acqua dentro la mia piccola scoperta. Sono abbastanza esterrefatto e, probabilmente con un sorriso ebete di contentezza. L’acqua aumenta il suo volume così decido di risalire. Sono nuovamente in cima. Che spettacolo tutta questa natura. Ritorno al motorino dove, prima di mettermi il casco mi asciugo un pochino i capelli. Già è l’ora della merenda, visto il pranzo saltato il mio stomaco borbotta, così rimonto sul cinquanta alla ricerca di qualcosa da mangiare.

Conduco rilassato sulla statale, il mare alla sinistra, la vegetazione alla destra, mi sento a casa. Mi sento sempre a casa in ogni luogo che visito. Mi viene alla mente una canzone di Chiara Galiazzo “Nessun posto è casa mia”, ecco mi sento così e non perché non abbia un focolare familiare ma precisamente perché né ho uno forte e sempre con me, la mia casa sono io e tutte le persone che né fanno parte, stanze piene di amore, ricordi, memorie indelebili. Sono alla costante costruzione di nuove camere dove riporre con affetto tutti questi bagagli leggeri; eppure, così densi e unici. Un Repsol mi salva dalla fame e dalla sete. Mi fermo nel benzinaio, dove inoltre c’è un minuto supermercato sul lato destro. Parcheggio, stacco la chiave dalla moto, le metto insieme ala cellulare dentro il casco appena tolto e la porta automatizzata mi dà il benvenuto con una ondata di gelo artico, che bisogno c’è di mettere l’aria condizionata e soprattutto così fredda. Non so che mangiare così decido di spizzicare un po’ di tutto. Compro acqua, un thè freddo per abbeverarmi, un pezzo di ciambellone col cioccolato, una empanada al forno di verdure e pollo con un po’ di piccante ed un Mars. Decisamente nulla di sano tranne l’acqua, ma va bene così. Pago ed esco. Mi siedo sul bordo del marciapiedi, il casco fra le gambe dove ho riposto la spesa ed inizio a mangiare. Troppo felice di essere qui ed adesso, l’oceano, il vento, la sabbia, il Mars, la grotta, il motorino, questa vita sorprendete che mi sto costruendo, questi ricordi che posizioni con cura dentro di me. Quasi il tramonto verso casa mi coglie. Alle mie spalle inizia a scendere la notte indecentemente stellata che mi aspetta. Dalla mia mansarda, dopo la doccia, la mia barba lunga pettinata e profumata, essermi asciugato e spogliato di tutto, il freschetto mi fa venire la pelle d’oca insieme a questo firmamento che splende orgoglioso, ed alto. Mi addormento sopra il lenzuolo, con i pugni chiusi sotto il cuscino per trattener tutto ciò che ho visto.

a cura di Michele Terralavoro

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