[CORONAVIRUS NEWS – Adnkronos]
L’ipotesi di una riduzione della quarantena da 14 a 10 giorni, a quanto si apprende, sarà affrontata martedì 15 quando si terrà la riunione del Comitato tecnico scientifico.
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L’ipotesi di una riduzione della quarantena da 14 a 10 giorni, a quanto si apprende, sarà affrontata martedì 15 quando si terrà la riunione del Comitato tecnico scientifico.
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Scoperte mini proteine ??efficaci contro Sars-Cov-2. Utilizzando innovativi approcci computerizzati, i ricercatori dell’Università di Washington hanno sviluppato degli inibitori che bloccano l’interazione tra il virus e il recettore delle cellule umane Ace2. In coltura cellulare, il più potente di questi inibitori potrebbe neutralizzare l’infezione da coronavirus. Questo risultato, spiegano i ricercatori su ‘Science’, apre la strada all’utilizzo di queste mini-proteine in terapie che potrebbero essere somministrate più facilmente degli anticorpi.
L’infezione da Sars-Cov-2 inizia generalmente nella cavità nasale. Gli anticorpi monoclonali in fase di sviluppo contro Covid-19 non sono ideali per il rilascio intranasale, poiché sono grandi e spesso non estremamente stabili. Piccole proteine ??che si legano strettamente alla Spike (che il virus usa per entrare nelle cellule) e bloccano l’interazione con il recettore cellulare umano, possono consentire una più semplice somministrazione diretta intranasale. Il team di Longxing Cao e David Baker ha sviluppato una serie di inibitori, valutandoli in colture cellulari. Due di questi hanno neutralizzato il virus, prevenendo l’infezione. Dopo un ulteriore sviluppo, potrebbero essere utilizzati e inseriti in un gel per l’applicazione nasale o per il rilascio diretto nel sistema respiratorio attraverso la nebulizzazione.
[FONTE Adnkronos]
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Gli effetti dell’inquinamento possono incidere sulla contagiosità del coronavirus. “Con l’università dell’Aquila stiamo sottoponendo a revisione un nuovo lavoro scientifico che indaga questo aspetto, ovvero quanto l’impatto dell’inquinamento da particolato Pm2.5 e da biossido di azoto, con l’aggiunta anche dei valori di due fattori di rischio come l’indice di vecchiaia e la densità di popolazione di alcune, influenzi la diffusione della malattia. Dai dati preliminari possiamo dire che il modello matematico applicato al nostro studio ha dimostrato una relazione più che significativa tra le concentrazioni di Pm2.5 e il biossido d’azioto e i tassi di incidenza della malattia da coronavirus”. Lo ha sottolineato l’immunologo Mauro Minelli, referente per il Sud Italia della Fondazione medicina personalizzata, nella diretta Facebook ‘BiomedicalReport’, la prima puntata di nuova rubrica di approfondimento scientifico lanciata da Minelli sulla propria pagina Facebook.
Nelle conclusioni preliminari dello studio “un aumento della concentrazione di anche solo uno dei due inquinanti citati, Pm2.5 e diossido di azoto, anche solo di 1 microgrammo per metrocubo d’aria ha provocato un aumento dei tassi d’incidenza di malattia pari a 2,79 per 10mila persone per il Pm2.5 e per il biossido di azoto 1,24 per 10mila persone”, chiarisce Minelli, docente di Igiene generale e applicata all’UniPegaso. Alla diretta Facebook ‘BiomedicalReport’ ha partecipato anche Anna Giammanco, ordinario di Microbiologia della Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università degli studi di Palermo.
“L’esposizone cronica al particolato, e non solo per i mesi dell’infezione, rende il sistema respiratorio più suscettibile all’infezione al coronavirus. Ovvero, più lunga è stata l’esposizione al Pm2.5 maggiore è la probabilità che l’apparato respiratorio sia predisposto a una malattia più grave – ribadisce Minelli – Il Pm2.5 è un miscuglio di sostanze solide e liquide, del diametro inferiore 30-40 volte rispetto ad un granello di sabbi, prodotte dalla combustione di motori a scoppio, dalla combustione di materiali legnosi o di altro materiale. Su questa ipotesi abbiamo prodotto già molti studi nel primo blocco di epidemia, ovvero che l’infezione da Sars-CoV-2 può causare gravi malattie polmonari indotte proprio dagli effetti del Pm2.5”.
“Quello che emerge dagli studi – conclude Giammanco – è che le condizioni ambientali e atmosferiche agirebbero su due livelli: cariche elevate nell’ambiente e nelle mucose del paziente che così verrebbe esposto con più facilità alle infezioni virali, permettendo al virus di esprimere al massimo il ruolo patogeno”.
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