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CONCERTO DEL PRIMO MAGGIO DI ROMA: NOEMI ed ERMAL META sono i conduttori dell’edizione 2024, BIGMAMA presenta l’opening del Concertone

Saranno NOEMI ed ERMAL META i conduttori dell’edizione 2024 del CONCERTO DEL PRIMO MAGGIO DI ROMA, promosso da CGIL, CISL, UIL, organizzato da iCompany e che quest’anno si terrà per la prima volta al Circo Massimo di Roma.

Entrambi sono artisti affermati e nella loro carriera hanno calcato più volte il palco del Concertone (Noemi nel 2012, 2015, 2020 e 2021 ed Ermal Meta nel 2017, 2018, 2020 e 2021). Nell’edizione 2024 del Primo Maggio si cimenteranno nel ruolo di presentatori di un evento che intercetta e racconta sempre più i linguaggi e le istanze del panorama musicale attuale italiano.

«La mia felicità è immensa, sono onorata di condurre una festa così importante, fatta di musica e condivisione. Ho frequentato molte volte il Concertone, prima tra la folla fin da piccola e poi sul palco come cantante. Calcare il palco del Primo Maggio da conduttrice in una location come il Circo Massimo nella nostra splendida Roma è una grande emozione» Noemi.

«È una grande emozione e responsabilità salire sul palco del Primo Maggio, questa volta anche come conduttore. Sono felice di questa nuova avventura, soprattutto perché la condividerò con Noemi, una donna e un’artista che stimo da sempre» Ermal Meta.

A loro si aggiunge BIGMAMA, che presenterà la prima parte del Concertone: un’artista grintosa che, proprio a partire dalla sua esibizione sul palco del Primo Maggio (2022), ha spiccato il volo verso il suo meritato successo.

Il Concertone sarà come sempre a ingresso libero (fino ad esaurimento posti) e sarà trasmesso (a partire dalle ore 15.15 e fino alle 00.15 con una pausa dalle 19.00 alle 20.00 per le edizioni dei telegiornali) in diretta su Rai 3 e Rai Radio 2 e in onda su RaiPlay e Rai Italia.

Il Primo Maggio 2024 avrà anche un’anteprima live condotta da BigMama e in esclusiva per Rai Play, con inizio fissato per le ore 13.15 circa.

Costruiamo insieme un’Europa di pace, lavoro e giustizia sociale” è lo slogan che CGIL, CISL e UIL hanno scelto per la Festa dei Lavoratori 2024.

La linea artistica del Concertone 2024 si svilupperà attorno al concept “Ascoltiamo il Futuro #1M2024, con l’intenzione di segnare una nuova importante tappa nella narrazione musicale che il Primo Maggio porta avanti da tempo, nel tentativo di raccontare il presente della fervente scena musicale nazionale, immaginandone il futuro.

Come ogni anno saranno 3 gli artisti vincitori del Contest 1MNEXT attraverso il quale il Concerto del Primo Maggio ricerca nuovi talentiche,scelti attraverso le varie fasi di selezione, verranno poi invitati ad esibirsi durante il Concertone 2024. Uno di essi sarà scelto e premiato durante la diretta Tv del Primo Maggio quale vincitore di 1MNEXT 2024.

Sono stati svelati i 12 i finalisti di 1MNEXT 2024, selezionati attraverso il voto della Giuria di Qualità e Giuria popolare webATARDE (Ancona), BELLY BUTTON E IL CORO ONDA (Roma), DIDI (Lendinara – RO), FRA’ SORRENTINO (Marino – RM), GIGLIO (Torino), LA MUSICA DI FORTE (Copertino – LE), MACADAMIA (Roma), MARGHERITA PRINCIPI (Fano – PU), MOONARI (Roma), SOLOPERISOCI (Roma), TIGRI DA SOGGIORNO (Roma) e VELIA (Roma).

I voti assegnati ai progetti finalisti, dalla Giuria di Qualità e dal pubblico attraverso il web, sono pubblici e consultabili sul sito 1mnext.primomaggio.net.

Al fine di garantire un corretto svolgimento delle selezioni, il sistema di controllo delle votazioni online ha invalidato tutti i voti sospetti, inclusi quelli ottenuti tramite VPN e/o generatori di IP. La valutazione finale del singolo artista è stata stabilita sommando, in quota ponderata, il voto del web con quello della Giuria di Qualità. La Giuria popolare ha inciso (come da regolamento) per il 25% sulla valutazione finale, mentre la Giuria di Qualità per il 75%.

I 3 vincitori, che saliranno sul palco del Concertone, saranno selezionati durante la finale live del 18 aprile a Roma, attraverso il voto della Giuria di Qualità composta da: Massimo Bonelli (direttore artistico del Concerto del Primo Maggio, presidente giuria), Sara Potente (dir. artistica Numero Uno/Sony Music), Lucia Stacchiotti (iCompany), Annarita Masullo (The Goodness Factory) e Simona Orlando (Rockol).

La finale si svolgerà a porte chiuse. Orari, location e informazioni tecniche saranno comunicati ai finalisti nei prossimi giorni. 

Il vincitore assoluto del contest sarà infine proclamato durante il Concertone.

Vincitori assoluti delle precedenti edizioni del Contest sono stati i La Rua (2015), Il Geometra Mangoni (2016), Incomprensibile FC (2017), La Municipàl (2018), I Tristi (2019), Nervi (2020), Cargo (2021), Mille (2022) e Still Charles (2023).

Spotify è official streaming partner del Concerto del Primo Maggio Roma. 

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Cicciano, Il comitato Centro Storico presenta il meraviglioso carro “La Forza di Rialzarsi”

Queste sono le parole del Comitato Carro Centro Storico. Il Comitato ha una larga storia. Nasce, circa, nel 1978 da un gruppo di amici: Raffaele Bernardo, Mario Bernardo, Francesco Granata (Ciccio O’ Summese) e la famiglia Granata. Dopo alcuni anni, Raffaele Bernardo decide di omaggiare Filippo Casoria devolvendogli la bandiera. Filippo Casoria, a sua volta, crea il suo comitato. Da più di 40anni il comitato centro storico con forza, sacrificio, passione e con l’aiuto del popolo riesce a far sfilare il carro allegorico per tutte le strade di Cicciano, trasmettendo amore, passione e devozione ai membri del comitato che ancora oggi portano avanti la tradizione.

Quest’anno hanno deciso di dedicare il loro carro alla forza di ricominciare, rimboccarsi le maniche nonostante le avversità e le difficoltà e seguire lungo il cammino della unica e preziosa vita. Il titolo, appunto, è: “La Forza di rialzarsi”. Questo è il loro motto, la ragione del camminare e l’errare lungo il sentiero dell’esistenza:

“Se cadi, rialzati, affronta le avversità e

trova sempre il coraggio di proseguire.

Fai della tua esistenza qualcosa di spettacolare.”

Prendendo spunto dalla strepitosa arte di Edgar Zùñiga Jiménez dietro ogni opera rappresentata si cela, senza troppi inganni, il fardello che la società moderna è tenuta a sopportare. L’uomo è sempre stato, nel corso della storia, costretto a lottare contro enormi ostacoli: povertà, criminalità, disoccupazione, disuguaglianza, emarginazione, discriminazione, ingiustizie e guerre che inevitabilmente lo conducono in un tunnel di rassegnazione, che giorno dopo giorno si fa pesante e si avverte tutto il peso nelle colonne che quasi sembrano schiacciarlo. L’uomo, anche se preso dall’angoscia, grazie all’aiuto “dell’Altro ” riesce a riacquistare le sue forze e il suo coraggio e nel grande abbraccio posizionato al centro si evince tutto il senso della fratellanza e della potenza dell’Unione. Quando poi, finalmente riesce ad uscire da quel tunnel buio ed opprimente, rappresentato dalle pietre che rendono la vita arida, rivede la luce e con uno sforzo quasi sovrumano porta in alto quel peso che tanto lo aveva schiacciato, facendo così fiorire in lui la forza d’animo smarrita simboleggiata dal prato fiorito. A proteggere le sue fragilità e a dare l’energia giusta per fronteggiare il peso è sempre la FEDE che trova posto nelle braccia della Madonna che, come madre di tutti noi ci difende e ci guida in questo lungo percorso che è la vita, preparandoci ad un volo pieno di Amore donandoci le ali giuste per volare. Amore, Fede e Fratellanza sono il trio perfetto per riuscire sempre, dopo ogni caduta a rialzarsi.

Con la presidenza di Antonio Casoria e la vicepresidenza di Aniello d’ Arienzo, la maestria e la visione dell’architetto Domenico Napolitano, prende così vita il carro, ideato ed elaborato da Consiglia Carciati e poi realizzato presso La Bottega d’arte Tudisco.

Pronti per sfilare lungo le strade, attraversando i cuori e le menti di chi avrà la voglia, la predisposizione ed il cuore aperto per accogliere codesta opera d’arte, nella sua immensa espressione artistica e visionaria.

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Da oggi è disponibile in digitale “FORGET ABOUT US”, l’atteso singolo di debutto della superstar della musica mondiale PERRIE.

Da oggi, venerdì 12 aprile, è disponibile in digitale “FORGET ABOUT US”, l’atteso singolo di debutto della superstar della musica mondiale PERRIE.

Il brano entrerà in rotazione radiofonica da venerdì 26 aprile.

Scritto da Perrie, Ed Sheeran, il leggendario cantautore David Hodges (“Because of You” – Kelly Clarkson, “A Thousand Years” – Christina Perri) e Steve Solomon, “Forget About Us” è brano che segna il debutto di Perrie come artista solista e mette in evidenza il suo straordinario talento vocale. “I don’t want you to ever forget about us in the front seat / listening to songs that made you think about me”, canta l’artista, ricordando le relazioni precedenti.

«Ripenso alle relazioni passate e penso con gioia a quei tempi – dichiara Perrie – Se voglio essere lì adesso? No. Non è andata e se fosse dovuto succedere sarebbe successo. Le relazioni sono state una parte importante della mia vita e mi hanno reso quello che sono ora. Penso che sia un bel sentimento su cui essere onesti ed è molto coinvolgente».

Il video della canzone, di prossima uscita, è stato diretto da Jake Nava (Beyonce, Britney Spears) e girato di recente a Città del Capo.

L’artista è conosciuta per avere fatto parte delle Little Mix, un gruppo che vanta 3 Brit Awards, oltre 17 milioni di album venduti in tutto il mondo, più di 29 miliardi di streaming.

L’esperienza in uno dei gruppi femminili con il maggior numero di vendite di tutti i tempi è stata formativa per una ragazza giovane, timida e insicura di sè. In precedenza, Perrie aveva evitato di scrivere canzoni nelle Little Mix perché non aveva fiducia nelle sue capacità, ma lavorando al suo imminente album di debutto, il suo ampio contributo alla scrittura di canzoni ha sorpreso persino lei.

Nel disco eclettico e variegato di prossima uscita che ha contribuito a creare ci sono cenni alla sua infanzia influenzata dal rock ‘n ‘roll, alla motown, alla disco, al country, agli anni ’80 e, naturalmente, al pop. Il filo conduttore è la voce di Perrie, potente e con una grande estensione vocale, che si cimenta senza paura in ogni melodia e nota di testa.

«Andare alle sessioni come artista solista e poter dire quello che voglio e che sento è un’esperienza incredibile – afferma Perrie – Non ho mai avuto la sicurezza di farlo prima, ma questo processo mi ha permesso di credere in me stessa e di esplorare tutte le mie diverse emozioni e le diverse parti della mia vita».

Quasi tutto l’album, estremamente personale, è stato scritto e registrato nella casa di Perrie a nord di Londra, il luogo in cui si sente più al sicuro. Il fidanzato Alex ha suggerito di trasformare la sala da pranzo inutilizzata in uno studio casalingo, che ha fatto costruire per lei con tutto il necessario per registrare i brani.

«Anche tutti i contenuti che ho realizzato per documentare l’album sono stati fatti a casa –

tutti i fan commentano: “Ma esce mai di casa?”». Perrie ride. Oltre a essere immersa nel suo santuario, ha anche esplorato la possibilità di lavorare con produttori e autori – la cui élite comprendeva gli artisti Ed Sheeran e Raye, oltre a Johnny McDaid, Feli Ferraro (BTS, Normani) e Jon Bellion (Maroon 5, Selena Gomez, Justin Bieber) – che le hanno permesso di essere il più vulnerabile e creativa possibile per questo album di debutto.

«Sono così orgogliosa di ciò che ho fatto e creato – Volevo che fosse soprattutto divertente e che mettesse in mostra il mio modo di cantare attraverso ballate e grandi numeri vocali» – racconta Perrie, che ora punta a portare la sua musica davanti al mondo e a esibirsi dal vivo con una band. «Avere le persone che cantano le tue canzoni è il più bel momento naturale del mondo. Non vedo l’ora di vedere come i fan reagiranno alla mia musica”. Che sia sensibile o potente, la voce distintiva di Perrie è orgogliosa di emozionare attraverso le canzoni che raccontano la sua storia fino ad oggi».

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“Come un soffio”

Questa volta le amiche lettrici di “Cuore di libro”, dopo aver partecipato alla presentazione, sempre alla libreria Tasso a Sorrento, del libro scelto durante l’ultimo incontro: “Come un soffio” di Angela Ansalone, sono doppiamente equipaggiate, per esprimere la loro appassionata visione.

Si legge veramente come un soffio il libro di Angela Ansalone.

Un racconto traboccante di amore verso la sua vita e tutti/e i/le protagonisti/e che ne fanno parte.

Dona ai lettori pezzi di cuore, di esperienze, di anima.

Racconta in un flusso che appare slegato, per la scelta compositiva, ma legato da fili nascosti, che pure fanno la loro parte nella narrazione.

“Il tempo con chi si ama”, scrive Angela Ansalone, “È come un soffio”, e ancora, “La vita passa in un soffio anche se ricca di emozioni e incontri”. 

Le sue parole a volte sono vere e proprie guide su come vivere con saggezza: “Ognuno ha il genitore che ha scelto, per comparire in questo mondo, e che quel genitore, e non un altro, è importante per la sua evoluzione.”

E ancora: “In palestra alleni i muscoli, nella vita alleni i comportamenti che puoi scegliere di adottare in risposta all’offerta che i tuoi simili via via propongono nella relazione di scambio. Spesso accade di sentirsi inadeguati, ma quando l’allenamento è proficuo più è difficile la relazione più grande è la gratificazione quando si sente di uscirne illesi.“

Angela Ansalone è nata a Napoli e vive, tra Napoli e Sorrento.

È medico, specializzata in pediatria, ora in pensione.

Fa parte della redazione del giornale online GreenNewsdeal che si occupa di ambiente.

“Come un soffio” è il suo primo libro, e alcune amiche lettrici di “Cuore di libro” con gioia ed entusiasmo si sono scambiate i loro punti di vista, in un’occasione così inaspettata.

Angela Cacace: “Mi è piaciuta molto la scrittura. L’ho trovato intimo e delicato. Angela è stata eccezionale nel parlare di sé stessa e di chi la circonda senza invadere la loro privacy, ha rispettato le vite e l’intimità delle persone che ha raccontato; delicata anche in questo.

E poi il libro trasuda gratitudine!”.

Ornella Cuomo: “Ho avuto la sensazione, leggendo i suoi racconti, che lei non ci volesse insegnare qualcosa, ma ci desse un sostegno nella nostra vita quotidiana, per trovare la bellezza e la bontà.

È una specie di viatico, si capisce che certe sofferenze e passioni che lei ha vissuto avrebbe potuto viverle chiunque, quindi c’è un rispecchiamento.

Angela ha avuto la possibilità di abbeverarsi a delle storie straordinarie con cui ha avuto contatto, è stata abile nell’assorbirle, per poi tradurle in parole nel suo libro.

Ha stimolato in me alcune domande sulla mia vita, guardando alla sua, e mi ha fatto pensare alla diversità, alle differenze. Ho trovato molto interessante che leggendo “Come un soffio” avessi modo di riflettere su di me”. 

Nora Rizzi: “Io contesto il titolo, non è “un soffio“ in realtà è una cima tempestosa. Lei nasconde sotto questo “soffio” una personalità fortissima, una forza interiore incredibile, una voglia di vincere e di far vincere, soprattutto la figlia con una maternità che non viene; lei non riesce ad avere figli, forse, perché si sente in colpa, per aver abbandonato l’Africa, la sua missione e i bambini che curava. È come se si auto punisse; lì la maternità si era realizzata, non certamente in Italia a fare la dottoressa qualsiasi.

Angela difende la famiglia da qualsiasi attacco: le peculiarità del marito e quelle del figlio. 

Perciò la sua vita non è un soffio, ma una cima tempestosa!

Tra l’altro è consapevole di appartenere a una famiglia molto importante nella realtà napoletana e se non avesse raccontato, lei, ai suoi figli ciò che è stata questa famiglia, tutti i ricordi sarebbero andati perduti. 

Inoltre è innamorata della sua Casa Museo, di cui parla nel libro, dove traspare la memoria di quello che lei e la sua famiglia hanno vissuto.

A me è sembrato che abbia voluto lasciare un testamento di ciò che è stato.”

Non vorrei essere ripetitiva, ma anche questa volta abbiamo avuto un incontro ricco, pieno di intimità, di dolcezza, sì, perché oltretutto mi è passato davanti, più di una volta, un vassoio colmo di cioccolatini e caramelle. Comunque, dopo tanta dolcezza, le amiche lettrici hanno scelto, per il prossimo incontro, il libro di Michela Murgia: “Dare la vita”.

A cura di Maria Grazia Grilli

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Miriam Tirinzoni: L’Esclusiva Essenza della Moda Raffinata

Miriam Tirinzoni Fashion Brand si distingue nel panorama delle consulenze d’immagine, offrendo un servizio esclusivo dedicato alle aspiranti Miss del futuro. Dall’eleganza intramontabile al fascino del glamour moderno, la perfezione sulla passerella e oltre diventa finalmente accessibile grazie a questa innovativa proposta di consulenza. Il brand invita a esplorare il segreto dietro l’iconica aura delle Miss di fama mondiale, proponendo la consulenza d’immagine come fondamentale trampolino di lancio verso il successo e il raggiungimento delle ambite mete.

Miriam Tirinzoni Fashion Brand presenta con orgoglio la sua esclusiva collezione Miss, una selezione di abiti che lascia senza fiato. Questi capolavori tessili, confezionati a mano con estrema cura artigianale e dedizione per i dettagli, vanno ben oltre la semplice definizione di abbigliamento. Ogni cucitura racconta una storia, ogni piega irradia un’eleganza senza tempo, trasmettendo una passione e una ricerca di design uniche nel loro genere. Questi abiti non sono semplici indumenti, ma autentiche testimonianze di un’esperienza indimenticabile da indossare con fierezza e grazia. Invitiamo a lasciarsi avvolgere dalla magia di un abito che racconta la tua storia in modo unico, incarnando un’icona di raffinatezza e originalità creata esclusivamente dal Brand di Miriam Tirinzoni.

Scoprire l’essenza dell’eleganza con questi autentici capolavori della moda significa abbracciare la propria unicità, poiché ogni donna è unica e il suo abito dovrebbe riflettere questa unicità. Per tutte le donne desiderose di rinnovare il proprio guardaroba con un investimento accessibile, Miriam Tirinzoni Fashion Brand propone il servizio di noleggio di abiti di alta moda. Questi abiti, originariamente sfoggiati sulle passerelle dei più prestigiosi eventi di moda, ora possono essere indossati anche per le tue occasioni speciali. Con una vasta selezione di abiti mozzafiato, che spaziano dal classico al contemporaneo, garantiamo che ogni donna possa avvolgersi nella sensazione di lusso e raffinatezza ogni volta che veste uno dei nostri pezzi unici.

Il Brand di moda è sempre più ricercato nei concorsi di bellezza e le Miss candidate amano indossare gli abiti del Brand, a partire da Miss Italia Francesca Bergesio, alla quale Miriam Tirinzoni invia i suoi migliori auguri per una strepitosa carriera: “Che tu possa brillare come sempre e trasmettere la tua bellezza interiore in ogni situazione. Che questo viaggio sia pieno di esperienze indimenticabili e che ti permetta di mostrare al mondo la tua autenticità e il tuo coraggio, anche grazie alla buona educazione ricevuta da una solida famiglia”.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                     “Francesca è una donna forte, determinata e piena di grazia, e sono sicura che affrontera’ ogni sfida con la stessa eleganza e determinazione che la contraddistinguono”, afferma Miriam Tirinzoni.

Biografia

Miriam Tirinzoni, nativa della Valtellina, è una donna intraprendente e determinata, caratteristica delle persone cresciute in montagna. Laureata in Economia Politica, ha accumulato diverse esperienze manageriali e ha fondato MT CONSULTING SRL, azienda attiva nel fund raising e nella gestione dei rapporti con enti pubblici per ottenere agevolazioni e incentivi, collaborando con istituzioni come la Regione Lombardia e i Ministeri. Successivamente, ha avviato ENERGIE ALTERNATIVE ITALIA SRL, un’Esco focalizzata sulla promozione del risparmio energetico. Nel 2020, ha lanciato con successo il suo brand di moda MT Fashion.

Miriam Tirinzoni ha dimostrato la sua abilità nell’imprenditoria e nella consulenza, consolidando il suo ruolo nel settore della moda. Nel 2021, ha vestito Manuela Arcuri sul red carpet di Venezia78 con un abito bianco e nero che ha ricevuto molte recensioni positive. Nel 2022, ha vestito anche Delia Duran per la registrazione presso la trasmissione “Verissimo”. Sempre nel 2022, la Velina russa Vera Atiuskina ha scelto un outfit e una borsa di Miriam Tirinzoni. Durante EXPO Dubai 2022, ha ricevuto la menzione come “Stilista Rivelazione 2021″. Nel luglio del 2022, è stata insignita del Premio Accademico d’Onore Cartagine presso la Sala Protomoteca del Campidoglio a Roma dall’Associazione Cartagine.

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Diario di avventure, finestre sulla Terra. Cuba senza (sin) salsa. Guanabo playa!

Il sole tenue del mattino albeggia all’aldilà della nostra finestra, oltre la tenda bianca che oscilla leggera, mossa dalla brezza marina che entra spinta dall’oceano. Ci desta con una allegria inattesa e immensa. Svegliarsi dinanzi al mare ed alla spiaggia è qualcosa di incredibilmente unico. Ci alziamo e terminiamo di svegliarci sotto l’acqua tiepida e salata della doccia, ci prepariamo per il mare. Preparato lo zainetto giallo con l’occorrente per la giornata in spiaggia ci inoltriamo lungo il viale di Guanabo. La gente fa fila fuori da un centro di salute fatiscente, dentro un recinto arrugginito e pericolante. Altre persone fanno la fila fuori da una specie di alimentari che distribuisce le razioni che il governo “concede benevolo” alla popolazione, ci raccontano: un pugno di riso, un pugno di lenticchie o di fagioli e via a casa, indipendentemente dal numero di persone che compongono la famiglia la razione è uguale per ogni nucleo familiare, un timbro su un libretto che mi ricorda il libretto delle assenze di quando andavo alle elementari, e pratica fatta. C’è della tristezza che contrasta l’incanto del posto, del sole lucente che brilla fiero, del cielo terso, della musica che produce il mare. Compriamo un paio di cose, acqua ed un pacchetto di patatine, ossia quello che incontriamo, e ci dirigiamo verso una spiaggia ad un’oretta di cammino lungo il bagnasciuga che, abbiamo visto in rete, essere tranquilla e, quasi senza la presenza delle letali meduse chiamate “Caravelas Portuguesa”, delle strane specie che sembrano dei piccoli palloncini azzurri o violacei con dei lunghissimi tentacoli che, nella maggior parte dei casi, risultano letali per l’uomo. Passiamo una rotonda con un campo da basket dal canestro giallo dove, alcuni signori osservano il passare del tempo seduti su delle panchine e, in lontananza vediamo un cinema totalmente fermo agli anni Cinquanta, abbandonato, immobile alla corrosione degli attimi passati, più di cinquanta anni, dalla facciata incredibilmente curata. Sembra un giovane a suo tempo stupendo, incredibilmente bello che, ha visto il suo volto riempirsi di rughe ma, dal passato brillante.

Il mare è incredibile, turchese, estremante trasparente, la spiaggia interamente vergine, con delle palme alle sue spalle che, tempestano la spiaggia di cocchi pronti per essere aperti e mangiati, alcune ananas anche ed altri frutti di cui non so il nome. C’è pochissima gente, ogni tanto un paio di file di lettini e sdraio con degli ombrelloni interrompono l’incontaminazione dell’ambente. Sono di alcuni grandi resort che pagano quello spazio di paradiso terrestre. Seguiamo osservando alcune delle meduse morte sulla riva, bisogna fare attenzione a non calpestarle perché, alcune di esse, potrebbero ancora avere il veleno “attivo” e provocare dolori forti, intensissimi. Scorgiamo il nostro posto, lo scegliamo con cura, ci piace, è una piccola rientranza fra le dune, ci sono tre alte palme di cocco, della vegetazione verde e rigogliosa che crea uno spazio di ombra per, ogni tanto ripararsi dal sole già altissimo e forte della giornata. Non c’è nessuno così, decidiamo di spogliarci del tutto e metterci in acqua, anche se non dovrebbero esserci le nostre care meduse, facciamo attenzione. Ci immergiamo, l’acqua è calda, siamo ai Caraibi, inverosimilmente trasparente, il fondale bianco fa risaltare ancor di più il suo incredibile colore azzurro. Restiamo, non so quante ora li, ammollo, nell’oceano, in totale libertà, sentiamo la libertà scorrere lungo i nostri corpi nudi, il tempore del mare e la gioia entrare in ogni poro della pelle.

Ci stendiamo sul manto di Nettuno, questo mare salato e cristallino che ci sta accogliendo. Ci sdraiamo su di esso, facendo il morto a galla riceviamo i raggi del sole e la vita che continua seppur sembra immobile e disciplinata, oltre questa incredibile calma e pace, tutto scorre fuori. Alcune piccole onde ci fanno scendere i piedi sulla sabbia compatta del fondale così, decidiamo di uscire un pochino dall’acqua. Incontriamo un cocco che fa, avanti e indietro sulla battigia, Seba lo prende e, dopo svariati colpi con una pietra raccolta nelle vicinanze, riesce ad aprirlo, e, dopo aver bevuto la sua acqua, ne mangiamo vari pezzi, è buonissimo e freschissimo! Passa un venditore ambulante, vende delle specie di frittelle. Purtroppo, non abbiamo contanti e non possiamo comprare nulla, si guarda intorno fugace, vendere in questa maniera è fortemente illegale a Cuba, si rischiano molti anni di carcere, lo salutiamo. Pochi secondi dopo passano due ragazzi in costume da bagno, cercano di venderci i loro corpi, sono molti giovani, ci chiedono da dove veniamo e, dopo aver accertato che non fossimo interessati, ci raccontano il loro sogno di una vita migliore, lontana assolutamente da questa Cuba occupata dal regime comunista. Si alzano e proseguono il loro cammino verso i pochi lettini di un resort poco più avanti. Da dietro le dune comprare un membro della polizia, ci mettiamo il telo intorno alla vita, non sappiamo realmente se si possa stare nudi. Ci saluta amabilmente e ci raccomanda di non abbandonare le nostre cose incustodite mentre ci facciamo il bagno. Gli domandiamo se fosse possibile effettuare nudismo, ci risponde che, tecnicamente no ma, se non c’è nessuno nei paraggi, nessun problema.

Il giorno prosegue felice, tra le pagine di un libro, letto all’ombra di una palma, prendendo il sole sul bagnasciuga con le onde del Caribe, bagnando, ogni tanto le gambe e la nuca. Il sole inizia ad abbassarsi, si dirige verso il mare, tuffandosi a rallentamento verso il blu che tinge di rosso. Il cielo muta, cambia colore, si dipinge di arancione con sfumature di violetta e azzurrino tenue. Ci abbracciamo, vedendo lo spettacolo della natura ed il sole che si immerge nel mare fino a completare la sua scomparsa dando spazio alle stelle di brillante ed alla luna di riflette. Torniamo verso il nostro appartamento, c’è un ragazzo che vende delle pizzette, ne compriamo due, una margherita ed una con prosciutto cotto, l’atmosfera è rilassata, alcuni ragazzi seduti su dei motorini parlottavano fra di loro, ridono, fumano una sigaretta che brucia completamente nella notte, il tepore del forno elettrico, l’odore della pizza appena sfornata, il cielo infinito sopra di noi. siamo rossi, scottati dalla giornata passata al mare sotto il sole avendo dimenticato la protezione solare. Restiamo a mangiare sulla barra attaccata al chiosco, beviamo una gassosa di cui non ricordo il nome. La strada è retta fino a casa nostra, non come il destino che si diverte a mettere delle curve, salite e discese lungo il nostro cammino. Destino o casualità, come canta Melendi. Destino o il caso che regna su questo mondo? Mi piace credere che, siamo noi il nostro futuro e soprattutto il nostro presente o chissà, forse è solo un po’ di insolazione a parlare dentro la mia testa. Non c’è tempo per una doccia, salata e calda, cadiamo addormentati sul letto in pochissimi secondi. Le tende bianche ondeggiano, il mare soffia leggero il suo cantico, e le sirene sorridono alla notte.

a cura di Michele Terralavoro

https://www.instagram.com/micheleterralavoro/

https://linkbe.me/Michele.Terralavoro

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“Basement Caffè” approda a Napoli

Basement caffè, nato nel 2019 dall’azienda Lavazza, è un talk show che si propone di intervistare due ospiti a puntata, ed è da oggi approdata con eventi dal vivo a Napoli e prossimamente a Roma.

I 125 fortunati vincitori del contest indetto da Lavazza, infatti, hanno potuto ascoltare grandi artisti della scena musicale e cinematografica al teatro Bellini di Napoli lo scorso 5 Aprile. Gli episodi saranno trasmessi sul canale youtube a partire da Maggio.

Il regolamento al quale ha aderito il pubblico prevede l’iscrizione al sito Lavazza e la vincita di due posti con un’assegnazione casuale. E’ possibile partecipare ad un massimo di 15 missioni in caso di mancata selezione. Terminate le missioni, si potrà essere estratti come riserva.

Le interviste, mediate da Carlotta Vagnoli, si sono svolte dapprima alle 14:30 con la partecipazione dei rapper Guè e Luchè e poi alle 21:00 con Massimiliano Caiazzo, star del cinema, conosciuto principalmente per il ruolo di Carmine di Salvo in “Mare Fuori” e l’astro nascente Big Mama, che ha debuttato alla 74esima edizione di Sanremo con il singolo “La rabbia non ti basta”.

Massimiliano Caiazzo e Big Mama, grandi amici anche nella scena reale, come dimostra la maglia raffigurante l’attore che Marianna Mammone, in arte Bigmama, sfoggia orgogliosamente, hanno condiviso proprio a Sanremo i riflettori: Big Mama in qualità di concorrente in gara e lui come ospite speciale, per promuovere la battaglia contro la violenza di genere, insieme ad una parte del cast di “Mare Fuori”. Entrambi, insieme a Luchè, hanno proprio origini napoletane e la scelta di condurre il primo talk show dal vivo a Napoli è stata una tappa simbolica, un ritorno a casa al di là del successo che li conduce spesso altrove.

L’evento “Lavazza, il gusto della ripartenza” è proseguito il 6 Aprile presso la sede Foqus, Fondazione Quartieri Spagnoli, in cui hanno partecipato Massimiliano Caiazzo e Luchè intervistati da Ciro e Alfo, membri di Radio Kiss Kiss. Un evento che ha visto l’incontro con tanti fan, una fra loro ha ringraziato Massimiliano Caiazzo,esclamando: “Hai saputo tenermi per mano in un momento della mia vita in cui non sapevo più galleggiare, grazie al mare cristallino che ti porti dentro, mi hai salvata”.

I prossimi eventi dal vivo saranno svolti a Roma, al teatro Quirino, il 21 Maggio 2024 con la partecipazione di Margherita Vicario, Andrea Delogu, Marco Gallini e Noyz Narcos. Il contest sarà aperto dal 15 Aprile fino al 28 Aprile e le estrazioni avverranno l’8 Maggio 2024.

a cura di Carmen Allocca

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“Che sapori hanno i muri”

“Noi non siamo reati che camminano siamo semplicemente persone che hanno commesso un reato.”  È un pensiero che esprime Gaetano, uno dei protagonisti di “Che sapore hanno i muri”, nel libro di Paolo Aleotti

Paolo è rassicurante, almeno, questo è l’effetto che fa a me quando parliamo.

È come se nel percorso dei suoi pensieri sia presente un grande equilibrio, perciò le parole e i suoni non stridono, mai!

È attento, ascolta chi ha davanti con tutto sé stesso! Ci si sente accolti e non giudicati, è un vero incanto dialogare con lui. Infatti non mi ha stupito neanche un po’ che abbia scritto “Che sapore hanno i muri”, ma soprattutto come l’ha scritto! Direi, senz’altro, con la sua classica sensibilità, un connotato riconoscibile in tutte le attività che sceglie di praticare. 

Paolo Aleotti inizia il suo percorso lavorativo in radio con Renzo Arbore nel 1969.

Ha collaborato, come inviato, con Ballarò, ed Enzo Biagi, per RT Rotocalco Televisivo.

È stato inviato del GR3, corrispondente dagli Stati Uniti dei GR e i TG RAI, e curatore di “Che tempo che fa”.

È docente di giornalismo radio-tv alla Fondazione Basso di Roma e all’Università Cattolica di Milano. 

Nel 2000 ha pubblicato “La Hollywood dell’era pulp”.

Nel 2014 realizza un’esperienza straordinaria: insegna l’uso di radio e tv nel carcere di Bollate. E come racconta nel libro: “Il giornalismo mi aveva regalato tanto: viaggi, guerre, incontri con attori, registi e capi di Stato. Cronache, per restare in tema, dal braccio della morte di Salt Lake City, nello Utah, dove ogni tanto rispolverano la fucilazione; o da quello di Huntsville, il carcere più antico del Texas, con interviste a condannati che sarebbero stati giustiziati nel giorno seguente al nostro colloquio…” 

È impossibile non vedere la sua raffinatezza professionale e umana, le sue capacità di fare scelte sempre nella direzione di ciò che, per lui, ha più valore nella vita, senza peraltro tralasciare l’aspetto artistico, che certamente non dispiace.

Paolo, c’è una frase che ti ha aperto un mondo, scrivi nel libro: “Un bel giorno, tre mesi dopo il mio ingresso a Bollate, quando iniziava a prendere forma il laboratorio settimanale con detenuti e detenute cui avevamo dato pomposamente il titolo di “Teleradioreporter“, guardandomi fisso negli occhi, Gaetano mi disse: “Beh Paolo, ora che iniziamo a conoscerti possiamo confidarti il nostro segreto noi non siamo reati che camminano siamo semplicemente persone che hanno commesso un reato.” Perché, spesso, non arriviamo alla stessa comprensione o saggezza di Gaetano? Cosa lo impedisce?

Questa frase l’avevo già letta da qualche parte, ma quando Gaetano me l’ha detta l’ho finalmente capita.

Credo che tantissimi di noi, senza volere, agiscano spinti da quello che conoscono o credono di conoscere, quindi di fatto dai pregiudizi.

Io prima di entrare nel carcere, sono dieci anni che vado dentro ogni settimana, in effetti pensavo che tutti/e quelli/e in carcere in qualche modo fossero brutti/e e cattivi/e, ossia, diversi/e da quelli/e che stanno fuori.

Questo è un sentimento che si manifesta principalmente, perché, purtroppo, il carcere è stato ideato ed è diventato un posto dove relegare i pericolosi, che fanno male alla società; quando sono entrato nel carcere di Bollate io li/le guardavo, lo scrivo anche nel libro, e mi dicevo: “Ma questo/a, perché è qui? Che avrà fatto?”. Ognuno di loro era colpevole di qualcosa ai miei occhi, visto che stava lì dentro; dopo ho capito che noi generalizziamo. Uno che va in carcere è uno che deve, sempre, stare in carcere; uno che ha rubato è un ladro, uno che ha ucciso è un assassino. Eh no! Tant’è vero che “Gaetano mi ha detto: “Paolo tu non sei un giornalista, tu sei Paolo con due figlie, il tuo vissuto e la tua umanità”. Allora ho compreso!

Quando ho incontrato Gaetano cercavo di capire che diavolo avesse combinato, e poi ho scoperto che era uno come me, che aveva avuto, però, una vita un po’ diversa dalla mia, ma era esattamente uguale, identico, a me; la verità è che chiunque può finire lì dentro, non sono dei predestinati, nella maggior parte dei casi.

Continuamente mi ripeto: “Ma, perché quelli/e che stanno fuori sono tutti/e immacolati/e? Nessuno ha mai sbagliato? E tutti/e quelli/e che stanno dentro sono tutti/e cattivi/e?” Non è così! Sono persone, probabilmente, nate in un ambiente meno fortunato di quello dove sono nato io, che hanno avuto anche la sfortuna di essere presi/e quando hanno fatto un errore, a volte microscopico, ma chi di noi non ha qualche piccolo scheletro nell’armadio?

Può accadere che un errore insignificante si trasformi in un delirio, in una Cayenna, che cambia la vita a chi l’ha commesso.

Finire in un carcere come Bollate equivale ad avere la possibilità di riscrivere la propria biografia, e questo è fantastico, dopodiché un assassino non è che diventi un non assassino, rimane una persona che ha commesso un errore enorme, ma se messa nelle condizioni giuste, forse, può tornare migliorata, e indubbiamente più forte, nella società, perché se si passa attraverso le Forche Caudine o la cruna di quell’ago, si diventa più resistenti, chiaramente, non tutti ce la fanno.

Gaetano è sorprendente anche in amore, quando dice: “A me la vita ha tolto molto, sono stato venticinque anni chiuso in galera. Non protesto. Me lo sono meritato. Ma in compenso mi ha regalato Veronica.”. Questa è la risposta che lui dà a una tua domanda: “Gaetano, ma lo sai che tanta gente libera fa fatica qui fuori ad avere un rapporto sensato?”. Come dobbiamo fare, Paolo?

Dobbiamo farci un po’ di galera!  Ahahah! Sto scherzando! 

Gaetano è una delle prime persone con cui ho approfondito un legame, ed è stata una “botta” di filosofia!

Si può facilmente cadere nel pensiero illusorio: “Siccome sono buono e bravo, merito le cose, allora ce le ho. Ebbene, no! La vita si esprime di solito in altro modo. È importantissimo accettare quello che viene, senza mai definirsi perdenti, andando avanti e appassionandosi.

Prendiamo me e Gaetano, io non ho ucciso nessuno, non ho rubato niente, non sono stato in galera, sono una persona gentile, ho anche una discreta possibilità economica e allora, perché le mie relazioni non durano più di due o tre anni? E Gaetano è arrivato a venticinque anni? Ecco dove s’incastona la preziosa idea che la vita va accettata veramente, per quello che riesce a regalare, ed evidentemente, per parafrasare le parole di Gaetano, la vita con me è stata meravigliosa, soltanto, finora non mi ha permesso di restare insieme a una donna, per molto tempo. Non che io sia un “Solo” seriale. Chissà, invece dopodomani mi sposo, perciò dobbiamo accettare che nella vita c’è una grande parte di casualità: dove nasci, quello che ti succede.

Questo discorso mi fa tornare in mente che quando c’era la pandemia, e non potevo entrare in carcere, trovavo modo di comunicare con loro tramite l’invio di alcune e-mail; un giorno ho chiesto se qualcuno avesse delle “ricette”, per capire come si fa a vivere agli arresti domiciliari, perché loro sono esperti/e ovviamente, visto che noi eravamo chiusi/e in casa, e Blanca, una colombiana intelligentissima, ha dato una risposta stupenda: “Avere le chiavi di casa e non poter uscire è più terribile che non avere le chiavi e non poter uscire; se tu non hai le chiavi ti rassegni, se hai le chiavi ti arrabbi, perché non puoi uscire, sembra un paradosso. Noi che non abbiamo le chiavi vi possiamo dare un insegnamento: dovete fare come noi, accettare la realtà, una volta accettata, trovare, all’interno, tutti i ricordi belli, le sensazioni meravigliose, vivere questi sentimenti, e aspettare la fine dell’incubo”.

Accettare la realtà è quello che noi non facciamo quasi mai.

Per tornare all’amore, c’è un’altra bella storia ed è quella di Maurizio e Celeste, io ho visto un po’ nascere il loro amore. 

Prima si conoscono da lontano, perché tutti dicevano: “Guarda che c’è uno per te, guarda che c’è una per te.” Finalmente lui riesce a incontrarla con uno stratagemma, bisognava dipingere un soffitto, lui va a fare il lavoro e conosce Celeste, virgolette, si mettono insieme, che in carcere significa: scriversi, vedersi una volta a settimana, per un’ora in uno spazio comune e senza toccarsi. Lui a un certo punto mi dice, a proposito di frasi fenomenali: “Paolo io da vent’anni sto in carcere, praticamente da quando avevo diciannove anni; sono un palermitano, pieno di soldi, ma t’immagini quanto mi divertivo e quante donne avevo? Oggi non posso conoscere gli umori intimi della mia compagna, però, nello stesso tempo ho cominciato a dare un valore incredibile a parole come: “Ti voglio bene”, “Ti amo”, “Come stai”.

Parole alle quali prima non davo nessun valore. Pensa che l’ho raccontato pure a mia mamma e lei sai cosa mi ha detto? “Mauri se l’avessi saputo t’avrei mandato in galera io!”.

Sono lezioni di psicanalisi, di filosofia, di vita! 

L’amore lì dentro diventa una speranza, qualche volta un po’ illusoria, perché quello è un mondo chiuso e in tutti i mondi chiusi le cose si esaltano, si enfatizzano.

Quando stai dentro ti sembra di amare e di essere riamato da quella persona che ti pensa e ti vuole bene, ti pare di aver trovato il paradiso, è tutto amplificato; una volta fuori può capitare di rendersi conto che era solo il desiderio di spezzare la solitudine, che lì dentro può diventare infernale, fermo restando che poi molti di loro si sentono soli quando escono, perché, caso mai, non hanno più punti di riferimento, magari gli amici li hanno mollati e se non si ha una famiglia forte alle spalle non si sa dove andare, si viene presi dalla paura, anche dalla paura di non avere soldi, se non si riesce a trovare un lavoro, per esempio. Carlo diceva: “Paolo io quando sono uscito volevo solo tornare in carcere, perché prendevo l’autobus e morivo dalla paura che se qualcuno avesse fatto uno scippo tutti/e avrebbero pensato che ero stato io, e quindi, per un po’ ho creduto di non farcela, poi piano piano ce l’ho fatta”.

Un altro detenuto che adesso esce, usufruendo dell’articolo 21, mi ha detto la stessa cosa: “Paolo, quando stavo dentro la mia pazzia era uscire, uscire! Una volta fuori ho scoperto che non sono rose e fiori, è tutto molto difficile, bisogna ricominciare da capo”.

In carcere hai una famiglia, diciamo, hai degli amici, “Forzati”, perché non li vuoi, ti danno fastidio, ma almeno ce li hai, fuori invece scopri che ti aspetti, in particolare dagli amici, qualcosa in più che poi non ti danno.

Paolo, hai sentito il peso del carcere quando eri lì? 

No, io ho sentito sempre, credimi, una fortissima emozione quello sì.

È naturale, siamo in una cella non grande, lavoriamo insieme, parliamo, discutiamo, ci scontriamo, per poi tradurre tutto in radio, televisione, comunicazione, verso l’esterno, e nel farlo ci accaloriamo su tanti argomenti; naturalmente ci sono anche i momenti in cui qualcuno dice: “Il mio avvocato mi ha abbandonato”. Sono attimi di disperazione! E chi viene da fuori cerca di sostenere la persona in difficoltà.

Dentro si crea una sorta di bolla e non sembra di stare in prigione.

Nel libro faccio l’esempio di Francesca, l’assistente, che veniva insieme agli studenti, perché io a volte faccio partecipare gli studenti dell’Università Cattolica, che si integrano con i/le detenuti/e; un giorno lei decide di andare via un po’ prima, da sola, ma poi, è tornata indietro in lacrime, perché ha sentito il peso del carcere.

A me è capitato, una volta o due, ormai sono dieci anni che non ho la percezione del pericolo, eppure, per un momento, camminando da solo in questo lunghissimo corridoio con il sole che cominciava ad andar via, non che io abbia avuto proprio una paura fisica, ma la paura di sentire che non ero al mio posto, non è stato confortante. E allora poi viene in mente che è un luogo pieno di persone che stanno lì dentro, perché hanno commesso degli errori, dei crimini, a volte tremendi.

Non l’ho sentito come un peso, anzi ho sempre avuto la sensazione che loro diano molto di più di quanto ricevano.

A questo proposito, qualche giorno fa sono andato a presentare il libro a Bollate e oltre ai “miei” c’erano una settantina di persone che non conoscevo, quasi tutti uomini, tranne quattro o cinque donne, abbiamo parlato e alcuni di loro, sai, mi contestavano un po’, dicevano: “Sì però, tu così rischi, perché se racconti di un carcere troppo bello poi fuori pensano: “Ecco, quelli non solo hanno fatto quello che hanno fatto, ma gli fanno pure i corsi di storia, filosofia, radio, televisione…”; quando io rispondevo partendo da loro e non teoricamente con frasi che avevo in testa, alla fine in tanti sono venuti a chiedermi: “Possiamo fare anche noi il corso? Ci possiamo iscrivere e venire il martedì?”.

Qualcuno era titubante sulle interviste: “Cosa c’è da insegnare e da imparare? Chi è che non sa scrivere quattro domande?”.

Osservazioni che mi hanno dato modo di entrare in contatto con chi non mi conosceva, ho immediatamente realizzato uno schema di come si possano fare interviste totalmente diverse l’una dall’altra, poi ho fatto degli esempi raccontando di quando ho intervistato Woody Allen, Schwarzenegger, Michelle Pfeiffer.

È stato un momento molto intenso, l’ascolto era totale, del resto quando si raccontano episodi di vita vissuta ci si incontra a un livello profondo, il punto centrale, per me, è il riconoscimento, loro vogliono sentirsi riconosciuti e ti devono riconoscere, sapere che tu credi proprio a loro; vogliono essere sicuri che la persona che hanno difronte non usi maschere.

Chi mi fa capire come sto andando rispetto al riconoscimento è Sandra, che dopo aver visto le mie interviste, da Floris e TV2000, mi ha scritto: “Paolo, tu sei un miracolo! Non ti rendi conto del bene che ci hai portato. Tu non sai, perché noi tutte/i ti vogliamo tanto bene, perché non ci siamo mai sentite/i giudicate/i da te.” Bellissimo!

Leggere “Che sapore hanno i muri” è come entrare non in un carcere, ma nel cuore di chi è in carcere e scoprire che un cuore è un cuore, ovvero sempre meraviglioso! Con o senza reato! Mi sbaglio?

No, non ti sbagli!

Questa è la cosa che mi ha, davvero, tanto colpito. Hai ragione! Bellissima questa frase che dici: “Un cuore è un cuore”, e una persona è una persona.

Senza dubbio, un cuore può essere un cuore ferito, un cuore amareggiato, un cuore chiuso, però la materia prima è quella, dunque, si sta sempre parlando con un pezzo di umanità.

In galera si viene messi/e a dura prova.

Bollate è un carcere, tra mille virgolette, fortunato, dove sono tante le possibilità, inclusa la libertà di uscire dalla cella la mattina alle nove fino alle sette di sera.

A Bollate si può scegliere se buttarsi in un angolo della cella e cominciare ad assegnare le colpe: alla società, alla famiglia, alle cose che sono andate male o attivarsi e cogliere le opportunità che vengono date, sostanzialmente, come accade fuori.

Infatti una di loro, Alessandra, mi diceva: “Paolo, forse stavo meglio a San Vittore, perché io ho bisogno delle regole e invece a Bollate te le devi dare, ti devi dire: “Mi devo alzare e fare un po’ di ginnastica, perché sennò il corpo si riduce male”, devo fare qualcosa, e così mi iscrivo a tutti i corsi possibili immaginabili”.

Il fatto curioso da constatare è che la vita assomiglia un po’, per fortuna, più a Bollate che alle altre carceri. 

E quindi bisogna impegnarsi, fare di tutto, per quanto riguarda loro, tirarsi fuori dal crimine, dal male, e noi dalla voglia di dire: “Sono tutti/e bacati/e, il governo non è di mio gradimento, vivo in una città che non mi piace.

In “Che sapore hanno i muri” racconti storie sorprendenti, che mi hanno fatto molto riflettere. La verità è che io ho amato tutti/e i/le protagonisti/e, e non me lo sarei mai aspettato da me! Sei stato bravo tu a raccontare, bravi/e loro, com’è la storia?

È che ne loro sono oltremodo bravi/e e neanch’io, il fatto è un altro: lavorando in un luogo di dolore, sì, sono rimasto un giornalista, ma la mia missione è un po’ cambiata.

Sono sempre curioso, perché mi piace tanto vedere le cose, scoprirle e poi raccontarle, affinché le capiscano più persone possibili. Nel fare questo lavoro quando ero in America o in Palestina, a Gaza, la mia curiosità mi portava a trovare i fatti più eccezionali, che potessero colpire l’immaginazione delle persone, per poi spedirli in prima pagina; desideravo restituire la bellezza, per quanto fossi capace di restituirla, con le parole, le immagini, la musica, eccetera; in carcere sono rimasto un giornalista con la possibilità di individuare qualcosa che all’esterno pochi sanno, cioè, che quelle sono persone normalissime come noi e che hanno tanto da raccontare. La meraviglia è riuscire con fiducia a trasmettere le loro storie, attraverso i miei occhi, senza tradirli, per nessun motivo al mondo; io li racconto, per come li vedo io.

Tutto questo mi ha ridato, un po’, il senso della vita, perché quando facevo l’intervista a Sharon Stone, per fare un esempio, ero eccitatissimo, perché avevo sei milioni di telespettatori che la vedevano, ma non è che vedessero me, vedevano lei..

Come quando Antonio trova il suo primo lavoro fuori dal carcere: montatore radiofonico, che gli ho insegnato io.

Mi sono reso conto di quanto quello fosse un vero atto di giornalismo, ovvero scoprire che dentro quelle persone esistono tante cose magnifiche, che sono come me, che io posso sostenerle, aiutarle, nel processo di rieducazione e reintegrazione.

Tutto ciò riempie, da un senso che a volte quando uno fa la vita che fa si perde, perché quando “fuori” facevo il giornalista dovevo fregare quell’altro, essere più bravo, in carcere non c’è questa bramosia, c’è, al contrario, la solidarietà, attenzione, ora non è che io sia diventato un prete o un santo, niente affatto, però sento che questo mi dà tantissimo.

Loro sono pieni di una umanità misconosciuta, e io sono uno che rispetta tutto ciò, evidentemente ho un approccio non male, e da questo connubio è emerso che loro possono fare qualcosa, che noi possiamo fare qualcosa, per rendere migliore il mondo, alla fine, sia pure in termini piccoli piccoli. Una piccola rivoluzione!

Ho la sensazione che, tra di voi ci fosse una grande armonia, pertanto si è creato un modo, originale, di raccontare! È così?

Totalmente!

L’armonia credo sia stata fondamentale. 

È qualcosa che scaturisce dall’interno e, per cui, quando siamo insieme stiamo bene; a volte mangiamo nel ristorante che è a metà strada, tra dentro e fuori. In pratica si passano i cancelli e subito dopo prima delle alte mura del carcere c’è il ristorante “In galera”, gestito da detenuti; spesso mangiamo lì insieme.

C’è un’altra cosa da dire, che quando escono, per un po’ restiamo appiccicati, uniti, poi se loro si distaccano noi siamo tutti/e contenti/e; vuol dire che vogliono chiudere con quel mondo, compresi/e noi, certo dispiace, perché ci si affeziona. È un po’ come un figlio, che deve prendere il volo, inutile tenerlo lì, a far che?

Paolo, nel libro descrivi il carcere di Bollate ed è inevitabile il confronto con altri luoghi di detenzione, per di più accenni a qualche differenza. Come ti spieghi il fatto che nessuno copi il metodo Bollate?

Sarebbe non solo bellissimo, che tutti adottassero il metodo Bollate, ma logico, visto che la recidiva scende dal 70% al 17%.

Perché questo non avviene? Per una serie di ragioni, te le accenno, dato che sono tante e complesse.

Innanzitutto è una questione di uomini, strumenti e mezzi, ma il punto non è solo questo. Credo, che se si facesse un sondaggio si scoprirebbe che gran parte della popolazione italiana ha un sentimento comune, secondo il quale, il carcere deve servire a punire coloro che commettono reati. Non c’è niente da fare!

Chi ha commesso un errore, ha fatto del male, deve subire come minimo lo stesso male.

I governanti, chiaramente, affermano che bisogna seguire il sentimento comune.

Lo Stato ha il dovere di difendere la società da una persona potenzialmente pericolosa, segregandola, isolandola, per un giorno, un mese, un anno, dieci anni, quello che ti pare, ma farla poi rientrare in società, dove indiscutibilmente dovrà rientrare, migliore.

C’è poi la questione della responsabilità, per un carcere come quello di Bollate ci vuole una dirigenza particolarmente illuminata, degli operatori penitenziari che siano all’altezza, quindi ci vorrebbero corsi di upgrade, aggiornamento; la responsabilità è essenziale, perché ogni volta che qualcuno esce in articolo 21, cioè ha il permesso di andare a lavorare fuori e poi deve tornare in carcere la sera a dormire, ogni volta che si dà questo permesso se la persona fa una scemenza, fatti conto, uccide qualcuno e scappa, la responsabilità è del direttore o della direttrice, bisogna trovare un direttore o una direttrice che si prenda la responsabilità di rischiare e lo può fare solo se ha a disposizione educatori, magistrati, che dicano: “Sì, questa persona può uscire”.

Il fatto della responsabilità è veramente qualcosa di difficilissimo da raggiungere, e comunque, la cosa principale è la volontà politica.

La volontà politica di migliorare il carcere non c’è, perché se ci fosse lo starebbero già facendo; continuano a dire: “Dobbiamo costruire le carceri”, non si deve costruire niente, è necessario spendere i soldi nelle direzioni giuste.

Aprire le celle si può fare, ma se si lasciano le persone a vagabondare in giro, poi cosa può accadere?

A Bollate c’è un vero e proprio esercito di volontari che entra, da una mano, e porta: io la radio e la televisione, un altro lo yoga, un altro il corso di scrittura, un altro ancora l’informatica.

Ti esprimo un solo dato, in Italia mediamente vanno in articolo 21, nelle 200, circa, carceri italiane, 1500 persone, e di queste 650 escono da Bollate, nessuno si prende la responsabilità; più sono tenuti/e dentro più si abbrutiscono e se li/le fai uscire fanno casino.

Una circolare del 2022 ha fatto passare in tutte le carceri, tranne a Bollate, una nuova regola, sicché, se si tenessero dei corsi, come quello che facciamo noi, i/le detenuti/e dovrebbero uscire dal carcere, andare a fare il corso, e appena finito tornare dentro ed essere chiusi/e a chiave; mentre a Bollate continuano ad andare in giro, a frequentare la palestra, dove fanno ginnastica, e il campetto di calcio, infine, le porte delle celle restano aperte.

Il documentario realizzato da detenuti e detenute è stato talmente apprezzato che ha partecipato come evento speciale a Trento, per un’edizione del “Premio Morrione” dedicato al giornalismo investigativo; è stato trasmesso in televisione dal Tg2 Dossier della Rai con il titolo “I sogni dietro le sbarre“. Ne sarete stati/e tutti/e felici?

Sì, molto felici e inoltre è stato un punto d’arrivo.

Abbiamo cominciato piano piano, io ho cominciato piano piano, per i primi tre mesi ho fatto il convitato di pietra, dicevo una parola, stavo zitto, mi guardavo intorno, cercando di capire come muovermi, poi ho organizzato un po’ di “Casting“ andando al maschile e al femminile, chiedendo chi volesse partecipare.

All’epoca potevamo lavorare insieme, passavo al femminile prendevo le ragazze e andavamo al maschile, io ero il responsabile, senza, addirittura, la poliziotta che venisse con noi; stavamo lì, in questa grande stanza al maschile e lavoravamo tutti/e insieme. All’inizio ascoltavamo i giornali radio, i documentari radiofonici, per imparare come si parla alla radio, come si costruisce un documentario radiofonico, come si monta alla radio, persino la dizione, li mettevo a leggere e il correggevo: “Si dice zucchero e non zucchero, la zeta è dolce. Se uno vuole, pian piano, uscire da qui”, dicevo, “Sapendo qualcosa in più rispetto a quelli che stanno fuori…”. Poi a un certo punto ho visto che potevamo osare un po’ di più e ho chiesto il permesso di portare una piccola telecamera, come strumento di lavoro, per riprenderci mentre discutevamo e poi rivederci e parlarne; fino ad andare tutti/e insieme nelle cucine con uno che faceva le interviste e un altro che lo riprendeva. Insegnavo loro a usare la telecamera, spiegavo che non andava mossa troppo ed era meglio, non usare lo zoom, stare fermi e riprendere qualcuno in movimento.

Alla fine abbiamo ottenuto tutti i permessi anche quello di far incontrare Maurizio con Celeste, gli innamorati, nello spazio comune, e farli passeggiare abbracciati, per dimostrare che persino l’amore, seppure platonico, in carcere diventa una cosa vincente. Tanti sono stati i progressi, eravamo strafelici, e quando abbiamo montato il documentario è andata così bene che abbiamo deciso di fare la seconda puntata al femminile; come scrivo nel libro, il femminile è la zona più disagiata del carcere, per una questione di numeri, le donne sono solo il 5% degli uomini, in tutto il mondo e non solo a Bollate, perciò le carceri sono costruite a misura d’uomo.

“Dentro c’è l’accettazione dell’imperfezione, fuori l’illusione della perfezione.”.

Sono quelle frasi che scaturiscono da pensieri molto illuminati, no?

Potremmo dire: quanta saggezza in carcere?

Mi è venuto questo pensiero non, perché io sia saggio, ma, perché il contatto con il carcere mi ha aiutato a togliermi dalla testa i tanti stereotipi e luoghi comuni che avevo, senza accorgermene il più delle volte.

Come ti dicevo all’inizio moltissime persone pensano che quelli/e dentro siano brutti/e e cattivi/e e quelli/e fuori tutti/e buoni/e, ma c’è anche il fatto che quando stai dentro, tu stesso/a, pensi che fuori sia tutto perfetto e invece non è così.

Chi sta dentro sente di avere, quasi, diritto all’imperfezione. Questa cosa è particolare ed è profonda, difficile da cogliere, te ne accorgi solo se parli a lungo con loro, che rappresentano in sé stessi questa contraddizione.

È un po’ come diceva la mamma di Maurizio: “Se l’avessi saputo t’avrei mandato in galera io!”?

Mi pare evidente che questa consapevolezza ti sia arrivata stando dentro il carcere, perciò tutti dovremmo fare un’esperienza così?

Francamente io la consiglierei, magari dopo che uno si è fatto la propria vita, varrebbe sul serio la pena, perché aiuta a ragionare sulla relatività delle cose.

Paolo, questa esperienza a Bollate come ha agito su di te? Ti ha cambiato in qualche modo?

Dentro il carcere sono entrato in contatto con persone che hanno commesso dei delitti piuttosto pesanti, ma anche con delle persone che appartengono al mio immaginario mediatico, persone famose, per le cose che hanno combinato, quando ti dicevo che la mia missione è un po’ cambiata mi riferivo a questo; nel passato avendo a disposizione nomi altisonanti, incontrando casi altamente mediatici, sicuramente avrei fatto di tutto, per scavare nelle loro storie e poi realizzare favolosi articoli da prima pagina, oggi nel libro tu non puoi accorgerti che parlo di persone, fortemente, mediatiche, perché appositamente ho evitato la morbosità nei confronti dei loro crimini.

Ovviamente se avessi scritto tutto in modo diverso il libro avrebbe avuto un’altra risonanza, ma a me non interessava questo.

Oggi capisco che esistono persone che possono aver commesso degli errori spaventosi, ma hanno voglia di ricominciare da capo e io desidero narrare quella parte lì anziché un’altra.

Allora se mi ha cambiato, mi ha cambiato, perché mi ha fatto, già lo sapevo, approfondire la mia certezza che raccontare gli esseri umani, mostrandone solo i lati ignobili e deturpati significa alimentare il male, invece aiutarli a riscoprire le parti belle che hanno dentro può essere effettivamente un’operazione di grande umanità. 

A cura di Maria Grazia Grilli

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AGF Energy a fianco dei bisognosi

Nella giornata di ieri AGF Energy compagnia leader in Italia per le forniture di luce e gas, tramite un suo referente della sede di Roma, ha distribuito diverse casse di frutta alla sede Caritas di Velletri (Roma). “Siamo molto orgogliosi – così commenta il CEO di AGF Energy  Francesco Dimitri Albergo “perché è costante il nostro impegno a favore di chi ne ha veramente bisogno”. L’azienda infatti, oltre ad essere molto attenta al rispetto dell’ambiente, si adopera costantemente nel sociale attraverso numerose iniziative rivolte al settore.

“Sono pregevoli iniziative – conclude il Presidente- che ci rendono orgogliosi e che auspichiamo vengano adottate sempre maggiormente dalle aziende al fine di dare un piccolo contributo per un mondo migliore”.

a cura di Dott.ssa Melinda Miceli editorialista, critico d’arte

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ADDIO ALLE ARMI, festività in onore di Maria SS. Degli Angeli Presentato da “Comitato carro Artigiani”

Addio alle armi, una storia di amore, di guerra e di pace.

Un’idea progettuale tratta dal famoso romanzo di Ernest Hemingway, ambientato nella prima Guerra Mondiale e pubblicato nel 1929.

“Come docente di letteratura, negli ultimi mesi, ho avvertito una particolare difficoltà nel mantenere linearità nella progettazione didattica. Il turbinio di emozioni spingono, quotidianamente, i miei studenti alla ricerca di risposte, di certezze, di speranze. Come spiegare le dinamiche mentali di chi persegue la pace ricorrendo alla guerra? Di chi condanna il genocidio ma subisce inerme il corso degli eventi?”

La volontà da cui nasce il progetto artistico dell’attore Barbato De Stefano risiede, dunque, nel desiderio di mostrare che, di fronte a un tempo destinato ad essere sconvolto dalla violenza e dalla morte, la ricerca della serenità e dell’amore è l’unica cosa che abbia senso e per cui valga la pena di lottare.

Da qui l’idea di associare il significato dell’opera scultorea al racconto dello storico romanzo, mutandone però il finale; non più drammatico ma intriso di speranza.

Il carro principale è caratterizzato da una “scenografia in movimento”, sviluppata fronte/retro, capace, così, di descrivere una narrazione in ciascuna delle visuali.

Il quadro della Madonna degli Angeli è in primo piano, maestoso nei suoi quasi 3 metri di altezza; presenta una cornice trivellata da proiettili che lasciano intravedere la scenografia retrostante rappresentante il muro delle fucilazioni con un forte impatto emotivo. Uno scenario formato da 9 statue lignee scolpite a mano, tra cui una statua di enorme valore risalente al 1880 dal titolo “Il Sacro Cuore degli Artigiani” ad opera del maestro Richetti della scuola di pittura di Brescia. L’ultimo piano della scenografia è rappresentato da pareti colpite dai proiettili e macchiate di sangue. Trasposizione cruda e crudele di una verità da cui non è possibile fuggire.

Ma ecco il colpo di scena…le sponde e il pianale del carro, sono costellate di cuori dalle svariate dimensioni, con peluche e vecchi giocattoli dal forte valore simbolico, merito del lavoro degli alunni dell’Istituto Comprensivo Statale Bovio-Pontillo-Pascoli di Cicciano (NA).

L’intero progetto, si è reso possibile grazie all’opera degli artisti selezionati dal curatore, l’attore Barbato De Stefano. Nomi del calibro di Enrico Melato, Fabrizio Barba Brisiu di Borgo San Dalmazzo (Cuneo), Fabrizio De Luca (Switch Art), che ha realizzato un murales stile street Art e grazie alla disponibilità del Polo Mantenimento Pesante Sud di Nola (NA) nella figura del Generale Brigadiere Roberto Nardone che ha concesso reti scenografiche e oggetti militari.


Tanti gli artisti Artigiani di Cicciano coinvolti che, attraverso una serie di scelte stilistiche e simboliche, sono riusciti a trasmettere il messaggio di forza, speranza e pace.

Una grande collaborazione, infine, da parte dei maestri e del Preside Giacomo Vitale dell’Istituto Statale Bovio-Pontillo-Pascoli di Cicciano.

Si ringraziano i collaboratori Tony De Stefano, Domenico Miele, Giuseppe Vitale e Massimo De Luca, per la realizzazione dell’intero progetto.

PROGRAMMA

Giovedì 11 Aprile                   esposizione carro lungo il Viale del Santuario

Venerdì 12 Aprile                   esposizione carro lungo il Via Caserta

Domenica 14 Aprile              sfilata del carro

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